L’infermiere di Famiglia e la gestione domiciliare dei pazienti con BPCO
Scritto il 13/06/2025
da Redazione
La BPCO è una malattia potenzialmente debilitante, con una prevalenza globale di 65 milioni di casi (Liang et al. 2021), colpisce prevalentemente anziani, è una sfida quotidiana costante per invecchiamento della popolazione globale e aumento vorticoso dei costi sanitari (Russo et al. 2017a). Nell’agosto 2024 è stato condotto uno studio qualitativo con l’obiettivo di esplorare i bisogni assistenziali per la gestione territoriale dei pazienti con BPCO, intervistando undici Medici di Famiglia (MDF), da un campione di cinquanta medici in tutta Italia. È emersa disomogeneità territoriale: il ruolo e la conoscenza dell’Infermiere di Famiglia E Comunità (IFEC), il numero medio di pazienti per ogni MDF, la comunicazione, il monitoraggio della situazione clinica del paziente da parte del MDF.
La BPCO: implicazioni di gestione socioeconomica
Lo studio qualitativo esplora i bisogni assistenziali per la gestione territoriale dei pazienti con BPCO.
La BPCO nel 2011 è stata la principale diagnosi di dimissione di oltre 600.000 dimissioni ospedaliere e causa di oltre 1,7 milioni di visite in pronto soccorso (Raghavan et al. 2016).
Uno studio negli USA sostiene che le riammissioni ospedaliere a 30, 90, 180 e 365 giorni dalla dimissione sono rispettivamente del 25%, 43%, 63%, e 87% (Ruan et al. 2023a). Quasi la totalità dei pazienti rientra in ospedale a 365 giorni.
Spesso le riacutizzazioni sono sottostimate, dal 14% fino al 35% richiedono ospedalizzazione, inoltre è stata riscontrata una correlazione positiva tra gravità della malattia e costi di trattamento più elevati (Bollmeier e Hartmann 2020).
Fattori di rischio
Ospedalizzazioni dell’anno precedente e durata del ricovero
Ancora una volta la località geografica è fonte di eterogeneità in termini di gestione e risultati. Mentre ci sono fattori di protezione come il sesso femminile e l’obesità (Huanrong Ruan/2023).
Una nuova prospettiva: strategie per ridurre le ospedalizzazioni
Implementare strategie per ridurre le riammissioni ospedaliere è un obiettivo mandatorio del settore sanitario, con alta priorità. Dalla mia revisione sistematica della letteratura le ospedalizzazioni domiciliari sono in netto aumento per poter ridurre ricoveri ospedalieri, ridimensionando anche gli effetti avversi del ricovero ospedaliero, come:
Ridimensionare la perdita di indipendenza per ospedalizzazioni prolungate
Favorire la riabilitazione in ambiente domestico
Migliorare la collaborazione e soddisfazione del paziente (Freeman et al., 2021)
Anche Russo (Russo et al. 2017b) sostiene che si possa migliorare l’ospedalizzazione domiciliare attraverso:
Educazione sanitaria
Collaborazione multidisciplinare tra medici internisti, infermieri, terapisti della respirazione, farmacisti clinici, coaches della cura
Integrazione con il telemonitoraggio e telemedicina (Ling et al. 2021)
Implementazione di servizi fuori-orario per pazienti che non riescono ad accedere ad altri servizi, secondo il proprio profilo economico-sanitario
Kripalani (Kripalani et al. 2019) ha riportato un nuovo framework “The Ideal of Transition in Care” basato su:
Pianificazione delle dimissioni
Trasferimento di informazioni necessarie
Gestione sicura dei farmaci
Educazione e impegno del paziente
Coordinamento delle cure e follow-up ambulatoriale
Un altro studio RCT (Morreel et al. 2021) per ridurre gli accessi in pronto soccorso, anche dei pazienti con BPCO, è quello attuato utilizzando il Manchester Triage System, che grazie ad una co-localizzazione del medico di base all’interno del dipartimento di emergenza, ha portato ad un migliore utilizzo delle cure primarie, non implicando necessariamente una riduzione dei servizi di emergenza-urgenza.