(TRSM Coordinatore della Radiologia di Città della Salute e della Scienza di Torino), che insieme ad altri specialisti presta servizio nel
, racconta com’è la vita all’interno di un centro di accoglienza italiano.
Mentre si discute del decreto sicurezza e immigrazione, del destino della Sea Watch con 47 persone a bordo, della disobbedienza civile sull’apertura dei porti, nel silenzio della nebbia mattutina, in attesa di un timido sole tiepido, mi reco da un amico, un collega, Marco Grosso (TRSM Coordinatore della Radiologia di Città della Salute e della Scienza di Torino), che insieme ad altri specialisti presta servizio nel centro di accoglienza Teobaldo Fenoglio ubicato nella prima cintura del capoluogo piemontese, più precisamente a Settimo Torinese.
Quali sono state le principali difficoltà nella costruzione di questo nuovo modello organizzativo extraospedaliero? Le principali difficoltà affrontate all’inizio di questo progetto hanno riguardato l’incertezza nella costruzione di un modello organizzativo ex novo su di un territorio fino ad oggi sconosciuto e riutilizzando degli strumenti diagnostici prelevati da strutture torinesi oramai in disuso, con l’obiettivo di fronteggiare volumi prestazionali elevati come 150 radiografie del torace al giorno .
Non è stato un percorso semplice, gli attacchi ricevuti sono stati molti, riguardo la necessità di irradiare i pazienti ed i relativi costi correlati. La nostra scelta, effettuata sulla base della letteratura scientifica, ci ha permesso di abbattere notevolmente i tempi ed i costi delle diagnosi per mezzo di un unico esame che non viene mai ripetuto poiché puntiamo molto sulla corretta esecuzione dell’esame e la sua qualità. L’obiettivo che ci poniamo è di estrapolare quante più informazioni cliniche possibili da un’unica immagine radiologica.
L’ avvio del progetto non è stato semplice poiché ci siamo trovati a lavorare su un terreno nuovo, fuori dal regime protetto ospedaliero, dove tutto è regolamentato e si conoscono i dati clinici-anamnestici dei pazienti.
La complessità del setting risiede nel fatto che le variabili di sistema sono numerose e, a volte, non controllabili. Immaginate un mercato di Lagos o un souk di Marrakech: quello che per noi, in ospedale, è un insieme controllato e manovrabile di pazienti a Settimo sono cento persone che si spostano in modo anarchico (non è una galera) e incontrollabile per il campo, quasi tutti con un nome simile, visi tutti (agli occhi occidentali nostri) uguali e scarsissima attitudine per la pratica della lingua italiana.
Qui tutto è relativo , a volte non sei nemmeno certo di avere i dati anagrafici corretti, con evidenti problemi di comunicazione e comprensione dovuti alla non conoscenza della lingua; per un primo periodo abbiamo avuto la fortuna di disporre della presenza di un mediatore culturale ma per le ridotte risorse economiche questo rapporto non ha potuto protrarsi nel tempo.
L’anamnesi dei pazienti è sempre molto complessa e nel caso identificassimo una lesione sospetta li inviamo all’ospedale infettivologico di riferimento; spesso riusciamo a riconoscere patologie, in ambito cardio-polmonare che altrimenti rimarrebbero misconosciute.
I veri positivi alla diagnosi di TBC sono stati pochi (le cifre non sono ancora state rese ufficiali), e i dati raccolti sono congrui alla letteratura.
Qual è il paese d’origine delle persone accolte? In questo momento è cambiato radicalmente il modello migratorio e accogliamo dal Pakistan, Bangladesh, Siria, Iran, Iraq, paesi dell’Africa Subsahariana con netta prevalenza del Mali, Nigeria, Togo, Somalia, Repubblica Centro Africana, Etiopia (gli arrivi di questi paesi sono ora in declino dopo il decreto sicurezza e immigrazione). Queste persone inoltre possono avere delle grosse difficoltà di convivenza perché spesso le popolazioni dei loro paesi sono in guerra.
Come giungono qui? La traversata che le persone raccontano avviene a step, tramite pagamenti continui ai trafficanti, l’unica loro ricchezza è un telefono cellulare con il quale contattano la famiglia per i trasferimenti di denaro, e arrivati nel deserto libico ha inizio la parte più terrificante del loro viaggio dove vengono derubati di tutto ciò che hanno, documenti inclusi che spesso vengono riciclati dalla mafia locale, ed il permesso a continuare la traversata non viene concesso fino all’avvenuta ricezione del pagamento.
Spesso le vittime vengono anche abusate, i corpi divengono merce di scambio, non per guadagnare ma per vivere, la violenza diviene quasi un’abitudine a cui ci si deve assoggettare. Una volta giunti in Libia vengono rinchiusi nei campi, in prigionia, fino a quando non riescono ad essere gettati sul destino di un qualche barcone.
La migrazione è fatta di storie pazzesche
La causa di morte più diffusa è l’annegamento e negli ultimi anni sono morte migliaia e migliaia di persone, molte anche avvolte dal silenzio mediatico nel grande cimitero che oramai è diventato il nostro caro Mare Mediterraneo.
I racconti dei sopravvissuti sono terribili e davvero arrivi ad un punto in cui non vorresti nemmeno più sentire il suono delle parole
Le lesioni peggiori che abbiamo visto sono di tipo ulcerante, date dalla commistione di benzina e acqua di mare, polmoniti chimiche da inalazioni di acqua marina con pleuriti concomitanti e versamenti pleurici organizzati con necessità di intervento chirurgico, anche nei bambini.
I racconti delle persone che giungono qui sono strazianti, sui barconi vengono disposte a strati, come fossero dei massi, uno sopra l’altro e spesso entrano in contatto con la lesiva commistione di benzina e acqua salata, i bambini vengono tenuti sollevati dalle madri per non farli contaminare, in delle condizioni assolutamente disumane.
I viaggi possono durare anche degli anni, spesso chi emigra prova a cercare anche lavoro in altri luoghi, molti sono professionisti nei loro paesi di origine, sono colti, edotti e, se ce ne fosse l’opportunità, potrebbero esplicare il loro lavoro anche nei paesi europei. Una volta giunti in Italia, sfidando nuovamente la vita e la morte, molti cercano di valicare il confine francese e di entrare negli altri paesi europei.
Perché è importante fare questo screening radiologico? L’esecuzione dell’esame radiologico non è solo fondamentale per la diagnosi di sospetta TBC, ma anche per ricercare, come si diceva, patologie che altrimenti rimarrebbero misconosciute, ciò ci permette di fare prevenzione, non solo per il paziente ma anche per la sanità pubblica perché, grazie ad una diagnosi precoce, avremo dei malati meno gravi da trattare in futuro.
Per fare questo abbiamo recuperato la “vecchia” radiologia tradizionale dove l’esecuzione dell’esame era assai scrupolosa e si cercava di estrapolare più informazioni possibili dal solo reperto radiografico, quando ancora non esisteva la TAC .
In caso di riscontro positivo a diagnosi di TBC cerchiamo di ricostruire l’intera storia del paziente attraverso un’intervista approfondita.
Quale futuro per questo Centro di Accoglienza e l’attività di radiologia domiciliare? L’attuale convenzione con la Croce Rossa ha durata di un anno dopodiché speriamo fortemente venga rinnovata per la sopravvivenza di questo centro di accoglienza, dal momento che le persone continuano ad arrivare, anche se in maniera più disorganizzata dopo il decreto Salvini e stiamo rischiando di perdere dei potenziali malati.
In medicina delle migrazioni l’intervallo di benessere è definito come il tempo che intercorre tra l’arrivo nel paese di accoglienza e la prima richiesta di assistenza sanitaria; in questo periodo, che data la generale buona salute delle persone che arrivano nel nostro paese, può essere anche molto lungo, l’unica visita clinica e l’unico accertamento diagnostico, la radiografia del torace, spesso viene fatto nella sede della Croce Rossa di Settimo.
Il destino del centro di accoglienza Teobaldo Fenoglio è ancora molto incerto, gli attacchi che subisce, soprattutto da parte degli esponenti del partito della Lega sono all’ordine del giorno, come quelli del sindaco Fabrizio Puppo che vorrebbe utilizzare il centro per le emergenze dei settimesi e i cortei che sfilano dinanzi con striscioni che gridano con violenza inaudita slogan come “basta immigrazione, prima gli italiani”.