Il salasso terapeutico è una delle più antiche pratiche mediche ancora utilizzate. Per lo più eseguita in modo improprio in passato, la salassoterapia è oggi sostenuta da numerose evidenze scientifiche, seppur limitate ad alcune condizioni patologiche come le malattie caratterizzate da sovraccarico di ferro. È importante rispettare scrupolosamente ogni fase che costituisce la procedura del salasso terapeutico, poiché ognuna influisce sul buon esito della stessa e quindi sulla sicurezza del paziente e, non ultimo, degli operatori.
Cos’è il salasso terapeutico
Il salasso terapeutico - in inglese Therapeutic Phlebotomy o Venesection - consiste nella rimozione dal circolo sanguigno di circa 350/450 ml di sangue ed è utilizzato come terapia d’elezione nelle malattie caratterizzate da sovraccarico di ferro (emocromatosi, porfiria cutanea tarda, policitemia primaria, poliglobulia secondaria a BPCO).
In queste malattie la disponibilità diferrodepositato nell’organismo è al di sopra dei 3000 milligrammi, contro i 200-1000 milligrammi degli individui sani.
Una volta rimossa la quantità stabilita (fase terapeutica) si passa alla fase di mantenimento, utile a prevenire un riaccumulo patologico di ferro nell’organismo.
La quantità esatta di sangue/ferro da rimuovere e la frequenza con cui effettuare il salasso terapeutico - ogni 7 giorni nei casi più severi fino a 15-30 giorni nelle forme più lievi - sono però stabilite dal medico sulla base del sesso, dell’età del soggetto e del tipo di malattia.
Senza un attento controllo medico, infatti, data la quantità di sangue e ferro prelevate, questa pratica potrebbe comportare seri rischi per la vita.