Sorveglianza accessi vascolari in terapia renale sostitutiva

Scritto il 04/10/2018
da Alba Tavolaro

La sopravvivenza e la qualità della vita della persona sottoposta a trattamento dialitico dipendono dall'efficienza dell'accesso vascolare e soprattutto, trattandosi di una terapia cronica, dalla sua durata nel tempo. Un corretto monitoraggio offre comprovati benefici in termini di sopravvivenza dell'accesso vascolare al pari dei programmi di sorveglianza, ma occorre un’approfondita formazione dello staff sia medico che infermieristico che comprenda la conoscenza dell'anatomia dell'accesso vascolare e della sua funzionalità.

Gestione accessi vascolari in dialisi, le criticità

Il trattamento sostitutivo renale, che si tratti di emodialisi o di dialisi peritoneale, necessita di un accesso invasivo attraverso il quale è possibile svolgere la funzione depurativa e di equilibrio idro-elettrolitico che viene a mancare in presenza di insufficienza renale.

Nella dialisi extracorporea o emodialisi, è necessario un accesso vascolare che permette di realizzare con una performance elevata, la circolazione extracorporea nel rene artificiale in cui avvengono i processi depurativi, la filtrazione di acqua e soluti. Un accesso malfunzionante può compromettere seriamente le condizioni cliniche della persona sottoposta a dialisi.

Il gold standard degli accessi vascolari in emodialisi è rappresentato dalla fistola arterovenosa nativa, seguito dagli impianti arterovenosi protesici ed infine dai Cateteri Venosi Centrali a permanenza.

Una importante criticità nella gestione degli accessi vascolari in dialisi è rappresentata dalle complicanze sia di tipo ostruttivo (stenosi, trombosi) che di tipo infettivo (che interessano principalmente i cateteri venosi centrali). La sopravvivenza e la qualità della vita della persona sottoposta a trattamento dialitico dipendono dall'efficienza dell'accesso vascolare e soprattutto, trattandosi di una terapia cronica, dalla sua durata nel tempo.

Moltissimi fattori contribuiscono all'insorgenza della complicanza ostruttiva della FAV: scarsa maturazione dell'accesso dopo il confezionamento, ripetuti stravasi ematici, tecniche di puntura scorrette, frequenti episodi ipotensivi durante il trattamento, estrema variabilità dell'emodinamica in dialisi, fattori intrinseci e molti altri.

Inoltre bisogna ricordare che l'evento ostruttivo raramente è improvviso, ma si instaura nel tempo, le stenosi si sviluppano lentamente riducendo progressivamente la portata dell'accesso vascolare fino alla completa occlusione mediante la trombosi completa del vaso. Da questo si evince quanto sia fondamentale una gestione orientata alla prevenzione e al trattamento precoce della complicanza.

Accessi vascolari in dialisi, come prevenire le complicanze

Una possibile strategia per far fronte a questa criticità è, ormai da diversi anni, attuare programmi di “monitoraggio” e “sorveglianza” che però, almeno fino ad oggi, sono oggetto di notevoli controversie. Non vi è dubbio che la gestione degli accessi vascolari in dialisi sia tanto importante quanto complessa.

Le Linee Guida Kidney Disease Qutcomes Quality Initiative (KDOQI) risalenti ormai al 2006, raccomandano di attuare programmi standardizzati e periodici di monitoraggio e sorveglianza degli accessi vascolari definendo prima di tutto i concetti di monitoraggio (“valutazione dell’accesso vascolare mediante esame fisico per rilevare i segni che suggeriscono la presenza di alterazioni e disfunzioni”) e sorveglianza (“valutazione periodica dell’accesso vascolare mediante test, che possono avvalersi anche di strumenti diagnostici i cui risultati possono evidenziare precocemente la presenza di disfunzioni”), indicando i parametri di riferimento per la definizione di accesso malfunzionante e identificando quali possano essere gli strumenti più idonei per realizzare tali programmi.

Paziente sottoposto a trattamento emodialitico

Il principale strumento di monitoraggio è l'esame obiettivo che deve essere eseguito sempre, prima di ogni puntura della FAV e consiste nell'ispezione, auscultazione e palpazione.

Attraverso l'esame fisico si possono rilevare la presenza di gonfiore, segni di infezione, dita della mano ischemiche, aneurismi, sviluppo di circolo collaterale, fistola che non collassa nel test del sollevamento dell'arto indice di una possibile stenosi, ecc.

Le stenosi che si verificano più frequentemente sono definite juxta-anastomotiche, ovvero appena sopra l'anastomosi identificabile all'esame fisico: il trill normalmente dovrebbe essere continuo e la fistola facilmente comprimibile. In presenza di stenosi il trill è avvertibile solo nella sistole, nel sito della stenosi scompare e il vaso è poco sviluppato.

Un corretto monitoraggio offre comprovati benefici in termini di sopravvivenza dell'accesso vascolare al pari dei programmi di sorveglianza, ma occorre un’approfondita formazione dello staff sia medico che infermieristico che comprenda la conoscenza dell'anatomia dell'accesso vascolare e della sua funzionalità.

Per quanto riguarda la sorveglianza, nonostante continui ad essere fortemente raccomandata, gli studi attualmente disponibili non hanno prodotto esaustive evidenze che ne dimostrino i benefici sul mantenimento della pervietà della FAV e sulla prevenzione delle complicanze ostruttive. Tuttavia, vi è un consenso unanime sull'efficacia del monitoraggio che dovrebbe essere standardizzato ed entrare nella pratica quotidiana.

Gli strumenti per la sorveglianza ideali dovrebbero essere semplici, sicuri, non invasivi, precisi, accurati, riproducibili e validati con valori di rifermento ben definiti ed infine economici, tenendo conto che i programmi di sorveglianza prevedono test eseguiti periodicamente per tutta la durata dell'accesso stesso (alcuni autori suggeriscono ogni tre mesi per le fistole native e ogni mese per gli impianti protesici).

Indipendentemente dal metodo utilizzato, il parametro di riferimento al di sotto del quale è necessario intervenire è una portata < 600ml/min (con una lieve variazione tra FAV nativa: 400-500ml/min e innesti protesici <600ml/min) o quando si verifica una riduzione del QA pari a 25% se la portata è > 1000 ml/min.

Il principale strumento di sorveglianza delle FAV è la misurazione del flusso dell'accesso vascolare, la sua portata, il cosiddetto QA ovvero la quantità di sangue in ml/min che scorre all'interno dell'accesso.

Il QA è influenzato dalla differenza tra pressione arteriosa media e pressione venosa centrale e dalle resistenze vascolari. I metodi per misurare il flusso dell'accesso vascolare sono molteplici e in genere si classificano in misure indirette, mediante metodi cosiddetti di diluizione e misure dirette, mediante ecografia-ecodoppler e risonanza magnetica che però necessitano di personale adeguatamente formato e un maggiore impegno di risorse sia umane che economiche.

Metodo Krivitski

Il metodo ad ultrasuoni secondo Krivitski con inversione delle linee e bolo di salina è il sistema di misurazione indiretto maggiormente raccomandato. Attraverso un dispositivo i cui elettrodi si posizionano sulle linee ematiche, viene misurato il ricircolo e la portata dell'accesso vascolare attraverso la rilevazione della diluizione degli ultrasuoni in seguito a bolo di soluzione salina.

I metodi indiretti sono più economici, ma non sono accurati e hanno uno scarso valore predittivo per cui vanno sempre associati al monitoraggio clinico. Durante il trattamento dialitico le variazioni emodinamiche possono essere notevoli per cui la riproducibilità dei test indiretti è molto scarsa.

Test di Bonforte

Un test molto semplice, economico e poco invasivo è il QB stress Test o Test di Bonforte (dall'autore che lo ha ideato) utile per ottenere una stima della portata della FAV nativa accompagnato dal regolare monitoraggio clinico.

Una volta attaccato il paziente e posizionato supino a 0°, viene impostato il flusso della pompa del sangue a 400ml/min, i limiti di allarme della pressione arteriosa (del sangue che esce dal paziente verso il dializzatore) a - 250 mmHg e i limiti di allarme della pressione venosa a + 250 mmHg (del sangue che ritorna al paziente dopo essere stato depurato).

Dopodiché si solleva il braccio del paziente a 90° per 30 secondi annotando le pressioni effettive, sia arteriosa che venosa. Se non si verificano allarmi (cioè se la pressione arteriosa non supera -250 mmHg) il test è da considerarsi negativo, se invece si verificano allarmi il test è positivo e successivamente viene ripetuto riducendo il flusso della pompa del sangue a 300, 200 e 100 ml/min considerando il test positivo se persistono gli allarmi (300=+1; 200= +2; 100=+3).

Quando il test è +2 - +3 vi è un elevato rischio di stenosi e il paziente deve essere sottoposto, oltre che alla valutazione clinica, ad ulteriori accertamenti per confermare la presenza di una stenosi e procedere all'intervento precoce.