Benefici e rischi del parto in acqua
L’uso dell’acqua è considerato sicuro, non presenta controindicazioni nel travaglio fisiologico e non è correlato a maggior rischio di infezione materno-fetale, neanche in caso di rottura intempestiva delle membrane. Non ci sono evidenze che le donne con tampone vagino-rettale positivo per streptococco beta emolitico non possano effettuare l’immersione in acqua, quando sia garantita la profilassi antibiotica.
La perplessità che rimane in letteratura è legata al periodo espulsivo in acqua. Non ci sono dati sufficienti per trarre conclusioni circa i benefici e rischi relativi all’immersione in acqua durante il secondo stadio del travaglio.
Una donna che richiede di partorire in acqua dovrebbe essere informata che i benefici materni e perinatali e i rischi di questa scelta non sono stati studiati sufficientemente né per supportare né per scoraggiare la sua richiesta. Dovrebbe inoltre conoscere le rare, ma serie complicazioni neonatali associate.
Sono state riportate diverse complicazioni neonatali serie anche se la reale incidenza non è stata determinata nell’analisi basata sulla popolazione. Perciò, fino a quando questi dati non saranno disponibili, l’American College of Obstetricians and Gynaecologists raccomanda che il parto avvenga ‘on land’, ossia non in acqua.
Sia il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists che il Royal College of Midwives supportano il travaglio in acqua per le donne sane con gravidanze senza complicazioni. Le linee guida Nice raccomandano l’informazione alle donne sull’insufficienza di evidenze di alta qualità per supportare/scoraggiare un parto in acqua.
Partorire in acqua, le raccomandazioni dalle società scientifiche
- L’immersione in acqua può essere offerta nella prima fase del travaglio a donne sane con gravidanza non complicata tra 37^ e 42^ settimana di gestazione
- Le ostetriche dovrebbero avere accesso ad un training per l’assistenza del travaglio e del parto in acqua supportate da protocolli specifici
- Le misure della garanzia di qualità sono importanti e interessano l’acqua, la pulizia delle vasche e le procedure di controllo infezioni
- La temperatura della donna e dell’acqua dovrebbe essere monitorata ogni ora per garantire comfort ed evitare la piressia. Questa, secondo le linee guida NICE 2007, non dovrebbe essere superiore a 37.5° (per evitare il rischio di stress fetale). I criteri delle ultime raccomandazioni però oscillano tra 33° a 37°. Essa dovrà essere confortevole, ma non troppo calda perché il surriscaldamento corporeo determinerebbe un aumento della frequenza cardiaca fetale
- La stesura di precisi criteri di inclusione/esclusione delle candidate al travaglio in acqua
Criteri di inclusione per il parto in acqua
- Gravidanza singola
- Presentazione cefalica
- Gravidanza a termine
- BCF regolare/CTG rassicurante
- Liquido amniotico limpido
- Prom < 24h
- Assenza di complicanze medico/ostetriche
- Decorso fisiologico della gravidanza
- Travaglio attivo
Criteri di esclusione
- Feto pretermine
- Patologie materne o fetali note
- Iperpiressia materna
- Patologie trasmissibili per via ematica o da contatto (HBV, HCV, HIV, HERPES)
- Emorragie in atto
- Infusione ossitocica in corso
- Liquido amniotico tinto (2-3)
- La donna non lo desidera
- CTG non rassicurante
Raccomandazioni per assistenza ostetrica nel parto in acqua
L’uso del bagno caldo può essere suggerito dall’ostetrica o richiesto dalla donna. In seguito, verranno riportate le principali raccomandazioni per una buona assistenza ostetrica del travaglio/parto in acqua.
- Creare un ambiente confortevole: luci soffuse, musica a scelta, temperatura confortevole compresa tra 23-24 gradi
- Controllare la disponibilità di teli caldi per la donna e il neonato
- Consigliare l’immersione in acqua dopo la diagnosi di travaglio attivo
- Incoraggiare movimento e posizioni libere
- Controllare la temperatura dell’acqua
- Sorvegliare il benessere fetale tramite auscultazione intermittente del battito cardiaco
- Rilevare i parametri vitali materni ad intervalli regolari
- Incoraggiare la donna a mantenere un’adeguata idratazione e ad uscire dalla vasca per urinare ad intervalli regolari
- Preferire il secondamento al di fuori dell’acqua (anche se non controindicato) per la difficile quantificazione della perdita ematica
- L’ostetrica deve tenere conto dei protocolli di selezione delle donne e della scelta informata delle stesse
- Nel caso in cui insorgessero complicanze sulla salute materno-fetale la donna è sollecitata a lasciare la vasca per poter attuare, da parte dello staff medico-ostetrico, le procedure di assistenza
Come fanno i neonati a non respirare sott’acqua?
Il neonato è in grado di non respirare sott’acqua grazie al Diving Reflex, che è un riflesso fisiologico difensivo che si sviluppa nell’ultimo trimestre di gravidanza e viene attivato quando l’acqua entra in contatto con i recettori cutanei della regione mascellare del volto del neonato; ciò determina l’induzione di uno stimolo vagale con arresto dell’atto respiratorio che consiste in un’apnea in posizione espiratoria con chiusura della glottide.
Questo riflesso di immersione innato scompare nelle prime settimane di vita. È importante considerare che tale riflesso:
- Non è presente nei neonati prematuri, motivo per cui in questi casi il parto in acqua è controindicato
- È ridotto o assente in caso di acidosi fetale
- È inibito dal contatto dei recettori con l’aria, perciò una volta emerso dall’acqua il neonato non può essere reimmerso nuovamente
- Risponde al contatto con liquidi estranei, perciò il contatto con liquidi corporei come meconio, sangue, liquido amniotico potrebbe inibirlo
Adattamento fetale respiratorio in acqua
Lo stress neonatale in acqua è ridotto e per tale ragione è possibile che il pianto non avvenga a causa della graduale esposizione all’aria e alla forza di gravità.
L’inizio della respirazione avviene più lentamente, così come gli scambi gassosi ed il bimbo può restare cianotico un po’ più a lungo senza alcuna difficoltà di adattamento neonatale.