Parto in anonimato

Scritto il 26/10/2019
da Corradino Ignelzi

La maternità non è sempre ben accolta dalla donna e in questi casi diventa importante che la gravida sia seguita in maniera appropriata per garantire la sua tutela e quella del nascituro così da evitare decisioni affrettate e a volte drammatiche. Affinché la scelta sia libera e consapevolmente responsabile diventa fondamentale informare, accompagnare, sostenere la gravida attraverso una relazione di fiducia e contemporaneamente associare interventi di aiuto sociale, economico e psicologico. La struttura ospedaliera deve garantire il diritto alla salute della partoriente e del neonato e la libertà di scegliere se riconoscere o meno il bambino.

Cosa accade se una donna non vuole riconoscere il neonato

La donna che non vuole riconoscere il neonato è una figura tutelata dalla legge italiana (DPR 396/2000, art. 30) che riconosce donna e bambino come persone distinte ognuno con specifici diritti, questo affinché la madre e il nascituro possano ricevere l’assistenza adeguata.

Al momento del parto sarà garantita la massima riservatezza, il nome della madre rimarrà segreto e nell’atto di nascita del bambino sarà riportata la dicitura “nato da donna che non consente di essere nominata”.

La madre può chiedere la revoca dell’anonimato in qualsiasi momento, ma questo non le darà la possibilità di recriminare il diritto all’affidamento del figlio, specie se questo è stato già adottato.

Se la madre vuole restare nell’anonimato, l’ostetrica o il medico che hanno assistito al parto devono dichiararne la nascita entro 10 giorni così al nascituro verrà attribuita la capacità giuridica e gli verranno riconosciuti doveri e, soprattutto, diritti:

  • diritto all’identificazione
  • diritto al nome
  • diritto alla cittadinanza
  • diritto all’educazione
  • diritto alla crescita in famiglia

Istantaneamente giunge comunicazione dello stato di abbandono del neonato non riconosciuto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che si attiverà per l’individuazione di una coppia adottante idonea. In questo modo al neonato viene garantito “il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato”.

In alcune situazioni eccezionali che impediscono alla mamma di formalizzare il riconoscimento, la donna può chiedere al Tribunale per i minorenni la sospensione della procedura di adottabilità fino ad un massimo di due mesi durante i quali deve continuare a mantenere contatti col bambino.

La procedura di riconoscimento è sospesa anche fino al compimento dei 16 anni di età della mamma la quale, adeguatamente accompagnata, deve continuare a mantenere il rapporto col bambino.