La placenta è un annesso fetale con molte funzioni e dopo il parto viene espulsa perché ha smesso di svolgere il suo compito. Dal punto di vista antropologico ha avuto in alcune culture un ruolo sacro come "generatrice di vita", mentre nel regno animale può rappresentare un'immediata fonte di proteine per una madre che ha appena partorito ed è sfinita per riuscire a procurarsi del cibo in breve tempo. La placentofagia consiste nella scelta di mangiare la placenta o un suo estratto dopo il parto con la convinzione che questo apporti presunti benefici per la pelle, l’umore e il rafforzamento del rapporto con il neonato, in virtù di una (ipotizzata) somministrazione di ormoni, minerali, vitamine e amminoacidi.
Mangiare la placenta, pratica di moda ma dai benefici non comprovati
L’ingestione della placenta migliorerebbe alcuni sintomi quali la fatica post parto e diminuirebbe il rischio di depressione materna.
Inoltre il ferro presente nella placenta aiuterebbe a ripristinare i livelli plasmatici nel sangue materno e la concentrazione dell’ormone della prolattina favorirebbe la montata e la produzione del latte materno.
Tecniche per conservare e consumare la placenta
Dopo essere stata lavata accuratamente, la placenta va conservata in frigorifero e può essere consumata ingerendone piccoli pezzi frullati con frutta e latte per poterne nascondere il sapore.
Un’altra tecnica è l’essiccazione: la placenta deve essere lavata, fatta scolare per eliminare i liquidi in eccesso, cotta al vapore con limone e zenzero e infine essiccata in forno per qualche ora.
L’essicazione va eseguita più volte, fino a ridurre la placenta in polvere mediante l’utilizzo di un mortaio; in questo modo può essere conservata in capsule per lunghi periodi. Alcune credenze ritengono che può essere utile assumerne durante la premenopausa.