L'Infermieristica legale e forense e la sua metamorfosi genetica
Il disturbo dissociativo dell’identità, identificato dall’ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati) come “disturbo di personalità multipla” è una patologia molto romanzata sia dal cinema che dalla letteratura, anche per il suo indiscusso fascino; pensiamo per esempio a “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” dello scrittore scozzese Stevenson.
Forse il paragone è discutibile e di certo è (volutamente) provocatorio, ma colgo strane ed inquietanti analogie tra l’ambito dell’Infermieristica e quello dell’Infermieristica Legale e Forense.
Vedo la stessa distorsione: stiamo parlando di cose diverse? Non credo serva scomodare un fisico o un matematico per ricordare gli elementari fondamenti dell’insiemistica, che prevede insiemi e sottoinsiemi, con questi ultimi che, naturalmente, contengono gli elementi dell’insieme.
Sembra facile, evidente, lapalissiano. Invece no. Parrebbe che la popolarissima Infermieristica Legale e Forense - declinazione per stessa definizione nomenclaturale dell’Infermieristica - stia vivendo una stagione di metamorfosi genetica quasi di derivazione kafkiana.
Cerchiamo di dare un corpo e, per i più radicali, un’anima a questa materia, con concretezza e razionalità (raziocinio?), per evitare di perdere un patrimonio culturale e professionale che sta nascendo e che, mi scusino gli ottimisti, sto già vedendo declinare ben prima dell’apogeo.
Partiamo da una posizione banale: l’Infermieristica Legale e Forense è, prima di tutto ed essenzialmente Infermieristica.
Se condividiamo il primo passo, facilmente procederemo nel cammino. Se è l’Infermieristica Legale e Forense è prima di tutto Infermieristica deve parlare, in qualche modo, di: Uomo, Salute, Assistenza Infermieristica ed Ambiente. Il tutto poi può essere declinato come viene ritenuto più opportuno (e scientifico), ma in quest’ambito dobbiamo rimanere, altrimenti non si sta parlando di Infermieristica.
Personalmente, viste le mie frequentazioni in questo settore, sono convinto che i problemi siano tanti e notevoli e li riscontro con fastidiosa frequenza anche nelle discussioni social.
Il mondo dell'Infermieristica Legale e Forense italiano è ancora tutto da scrivere
Il mondo dell'Infermieristica Legale e Forense italiano è ancora tutto da scrivere ed il possesso di un titolo, pur accademico, in materia è solo un punto di partenza; la formazione attuale è del tutto disomogenea ed insufficiente rispetto ad un profilo che non può essere solo teorico, ma deve produrre esiti.
Molti sono i Colleghi che mi scrivono, quasi settimanalmente, e che mi fanno la stessa domanda:
Ho fatto (o voglio fare) il Master in Infermieristica Legale e Forense: come lo spendo?
E qui a volte casca, magari tardivamente, il palco: “non sono in grado di fare consulenze o perizie, perché il tempo dedicato alla materia peritale è nullo o infinitesimale (in compenso ho approfondito l’antropologia forense); non sono in grado di approfondire i processi di gestione del rischio clinico (ma conosco benissimo le fasi per la repertazione sulla scena del crimine)”.
Si evidenzia la distorsione? Dove troviamo l’Infermiere in questo ragionamento? In Italia l'Infermiere Forense non trova molta cittadinanza, perché non esiste, formalmente riconosciuta, l'Infermieristica forense. Non esistendo, ad oggi, alcuna specializzazione infermieristica, il titolo non è vincolante per esercitare nell’ambito e neppure per essere iscritti negli Albi dei Tribunali come CTU o Perito.
Non esiste neppure un modo univoco di pensare l’Infermieristica Legale e Forense e questo è evidente dalla formazione che viene proposta e che ha raccolto un notevole successo tra i colleghi, affascinati da un mondo che ha un certo appeal, ma che molto lusinga, tanto promette e poco mantiene.
Insomma, si distribuisce a piene mani dal burro ai cannoni, forse nel tentativo di dare spazio a vari insegnamenti che in qualche modo intersecano l’universo della Sanità mentre noi perdiamo di vista l’essenza stessa del nostro esistere professionale.
Molti programmi contengono insegnamenti di diritto del lavoro, moltissimi puntano su scarne emulazioni del medico legale, i più inseriscono elementi da fiction sull’onda dei popolarissimi C.S.I. et similia.
Tutto molto bello e molto copiato dal Forensic Nurse anglosassone, figura radicata professionalmente come specializzazione ed inserita in contesti normativo-giuridici che ne giustificano l’esistenza e ne permettono l’utilità.
Pensate alle abilitazioni S.A.N.E. (Sexual Assault Nurse Examiner), frutto di studio approfondito e di skills metodiche e precise, soggette a periodiche ri-abilitazioni e che danno valore giuridico a quanto esaminato e repertato dal Forensic Nurse in modo completamente autonomo.
Molto normale in quel mondo, fantascienza (ad oggi) in Italia; basti pensare anche solo alla diatriba, quasi teoretica ormai, tra Infermiere Pubblico Ufficiale ed Infermiere Incaricato di Pubblico Servizio, con le implicazioni da codice penale che ne derivano.
L’Infermiere Legale e Forense in sala settoria non serve
Se abbiamo velleità di quel tipo esiste una figura professionale diversa, con diverso percorso di studi e che ha finalità diverse. Se pensiamo di assistere alle autopsie per ricercare il nesso causale della morte di una persona, direi che dobbiamo ripartire dal concetto di Infermiere ed Infermieristica.
Quindi in Italia, oggi, su cosa possiamo basare un’idea concreta e realistica di Infermiere Legale e Forense, pensando a “idea” in senso etimologico, ovvero concetto strettamente legato a quello di “visione, immagine, rappresentazione mentale” e che si lega al concetto di “identità” (medesimo, immedesimazione)?
Le possibilità maggiori le vedo nell'ambito peritale, perché è ormai diffuso il concetto della deontologica insostenibilità che un professionista (es. medico legale) non titolare della disciplina in questione (l'Infermieristica), possa fare delle osservazioni sui profili di responsabilità di professionisti non afferenti appunto alla sua disciplina specifica.
Il cd. Decreto Balduzzi (D.L. 158/2012 convertito nella L. 189/2012) ci era venuto in aiuto in questo senso, richiedendo esplicitamente la presenza degli “esperti disciplinari”, ma eravamo solo agli inizi del cambiamento.
La legge 24/2017 (cd. Legge Gelli), grazie anche al lavoro metodico e certosino di un’infermiera Senatrice, ha messo dei paletti chiari rispetto ai collegi peritali competenti per disciplina; adesso bisogna far capire bene al mondo giuridico, che non ci conosce professionalmente, che siamo essenziali nella funzione specifica in quanto unici titolari e depositari della Disciplina Infermieristica.
La L.24/2017 apre spazi infermieristici interessantissimi anche nell’ambito della gestione del rischio clinico e vale lo stesso ragionamento precedente: chi, se non gli Infermieri, possono parlare di Infermieristica e quindi analizzarne e gestirne i processi?
Una riforma dei percorsi formativi per opportunità reali
Se abbiamo chiara la nostra identità e la nostra finalità specifica sarà più facile scegliere percorsi formativi finalizzati, che creino opportunità e sbocchi reali.
Non ho ancora trovato - spero di sbagliarmi - proposte formative di Master che includano esaustivi insegnamenti di ricerca e valutazione delle fonti di letteratura; eppure la L.24/2017 indica a chiare lettere la strada da percorrere in questo senso.
Vogliamo trovare spazi contendibili e reali per dare identità, senso e concretezza all’Infermiere Legale e Forense? Ri-partiamo dall’Infermiere e dall’esercizio professionale agito e lasciamo stare questioni extraprofessionali o fantaprofessionali, efficaci dal punto di vista del marketing e – ahimè - inutili ai fini pratici e di sviluppo della Professione Infermieristica: abbiamo una responsabilità deontologica e politica anche su questo.
Luigi Pais dei Mori
- Infermiere legale e forense
- Presidente Opi Belluno