Un movimento internazionale di accademici, professionisti della salute, ricercatori, attivisti e membri della società civile ha lanciato la campagna “Stop The Silence”, chiedendo con forza alle istituzioni di rompere il silenzio sul genocidio e sul collasso umanitario che stanno devastando Gaza. La campagna nasce dalla convinzione che la neutralità di fronte a crimini di questa portata equivalga a complicità. Gli ideatori denunciano la risposta insufficiente della comunità internazionale e il mancato riconoscimento, da parte di molte associazioni, della realtà documentata del genocidio e delle violazioni del diritto internazionale.
Una crisi senza precedenti: dieci punti che il mondo non può ignorare
Stop The Silence sul genocidio a Gaza
Come sottolineato dall’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell , Gaza è passata dall’essere “una grande prigione a cielo aperto” a “un grande cimitero a cielo aperto ”.
Una frase che racchiude il dramma di una popolazione sottoposta a violenze sistematiche, sfollamenti di massa e una devastazione senza precedenti.
Nella lettera dettagliata che i ricercatori hanno inviato alle principali organizzazioni internazionali, rappresentanti milioni di operatori sanitari nel mondo, è stato loro richiesto di riconoscere e rispondere al collasso strutturale, economico, sociale, psicologico e, soprattutto, a livello di salute del popolo palestinese.
Tra gli aspetti più devastanti ci sono:
Crollo storico dell’aspettativa di vita : secondo uno studio pubblicato su The Lancet, Gaza ha registrato il più rapido declino dell’aspettativa di vita mai documentato in un solo anno: nel 2024, la speranza di vita è passata da 75,5 a 40,5 anni. Un dato senza paragoni nella storia recente, persino rispetto al genocidio del Rwanda del 1994.Massacri, amputazioni e traumi psicologici nei bambini : Gaza vive un disastro sanitario unico per i minori, è il luogo con il più alto numero di amputazioni infantili pro capite al mondo. Studi indipendenti mostrano che il 49% dei bambini desidera morire, il 96% teme di morire a breve, il 79% soffre di incubi e il 73% manifesta comportamenti aggressivi.Distruzione sistematica del sistema sanitario : dal 2023 a oggi, oltre 720 attacchi hanno colpito strutture sanitarie, 125 centri di cura, 34 ospedali e 186 ambulanze, secondo l’OMS. Il sistema sanitario di Gaza è al collasso.Massacro di operatori sanitari, personale ONU e giornalisti :
Gaza ha registrato il più alto numero di vittime tra operatori sanitari, membri delle Nazioni Unite e giornalisti in qualsiasi conflitto moderno: più di 1.400 operatori sanitari uccisi, 126 membri ONU e oltre 230 giornalisti.Scholasticide e Universitycide :
secondo l’ONU, il sistema educativo di Gaza è stato “annientato”: il 71% delle scuole è stato danneggiato o distrutto, più di 600 insegnanti sono stati uccisi e quasi 200 docenti universitari hanno perso la vita. Almeno 57 edifici universitari sono stati demoliti.Uso della fame come arma di guerra :
Editoriali e studi scientifici, inclusi quelli pubblicati su BMJ e The Lancet, hanno documentato l’uso sistematico della fame e della privazione di beni essenziali come strumento bellico.Distruzione su larga scala delle infrastrutture :
oltre l’81% degli edifici di Gaza è stato danneggiato, lasciando dietro di sé 50 milioni di tonnellate di macerie, spesso contaminate da ordigni inesplosi. Secondo gli esperti, potrebbero servire vent’anni solo per la rimozione delle rovine.Detenzioni arbitrarie senza processo :
un terzo dei circa 9.500 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è imprigionato senza accuse formali né processo, secondo le Nazioni Unite.Violazioni sistematiche del diritto internazionale :
Secondo un documento presentato al Tribunale internazionale di giustizia, gli eventi a Gaza si inseriscono in decenni di apartheid, occupazione e blocco illegale del territorio, con ripetute violazioni delle leggi internazionali.Riconoscimento del genocidio :
numerosi studiosi di genocidio, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch, il Lemkin Institute e diversi relatori speciali delle Nazioni Unite hanno ufficialmente riconosciuto che a Gaza è in corso un genocidio.Empatia selettiva e doppi standard Nonostante i numeri e le testimonianze, gran parte della politica internazionale continua a rifiutare il termine genocidio per descrivere quanto sta accadendo. Una contraddizione evidente se si considera che, in altri contesti, come quello del Myanmar, diversi governi occidentali, inclusi paesi europei, il Canada, la Gran Bretagna e lo stesso presidente degli Stati Uniti, hanno definito plausibile il genocidio per l’uccisione di circa 7mila civili e lo sfollamento di un milione di persone. A Gaza le cifre sono ancora più drammatiche, ma la parola “genocidio” viene evitata .
Questa incoerenza solleva interrogativi profondi: perché il riconoscimento di un genocidio sembra dipendere da chi sono i perpetratori? Se le atrocità sono commesse da nemici geopolitici, la condanna è immediata; quando invece a perpetrarle sono alleati strategici, la narrazione cambia.
Un’ipotesi alla base di questa disparità è il fenomeno dell’empatia selettiva , un concetto elaborato dal professor Roberto De Vogli , Università di Padova, nel suo libro “Selective empathy: the West through the gaze of Gaza” che sarà pubblicato a breve.
Questo quadro teorico spiega come la capacità di provare compassione e immedesimarsi nella sofferenza altrui non sia universale, ma condizionata da fattori come razza, appartenenza nazionale, identità culturale o status sociale. In ambito internazionale, questo porta a distinguere tra vittime “degne” e “indegne” di empatia, generando risposte politiche e mediatiche profondamente diseguali.
Il nazionalismo e il retaggio coloniale rafforzano ulteriormente questa dinamica, creando un pericoloso schema di “noi contro loro”. In questo contesto, l’empatia per il dolore delle popolazioni colonizzate o dei gruppi oppressi viene ridotta o negata, facilitando processi di disumanizzazione che legittimano la violenza e l’espulsione di intere comunità.
Un appello dal basso: accademici e professionisti rompono il silenzio La lettera aperta che ha dato vita alla campagna è un’iniziativa nata dal basso , non da grandi organizzazioni istituzionali, ma dalla volontà condivisa di migliaia di accademici, operatori sanitari e studiosi di diverse discipline che non hanno accettato di restare in silenzio.
Tutto è iniziato dopo il rifiuto, da parte della 18ª Conferenza Europea di Sanità Pubblica, di un abstract del Prof. Roberto De Vogli che denunciava il collasso della salute pubblica a Gaza: da quel momento, l’esclusione è diventata la scintilla per costruire un’azione internazionale collettiva.
Inizialmente la decisione di rifiutare l’abstract sembrava destinata a chiudere il dibattito su un tema scomodo. Ma invece di accettare passivamente questa esclusione, De Vogli, insieme al Dr. Jonathan Montomoli , dirigente medico dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Infermi di Rimini e cofondatore del gruppo Rimini4Gaza, ha trasformato quel rifiuto in un’occasione per dare vita a un’azione più ampia e incisiva a livello internazionale.
In pochi giorni, oltre 3300 firme, tra cui 1300 di professionisti e ricercatori , hanno dato forza a un appello che ha rotto l’inerzia di molte associazioni ufficiali. Questo movimento spontaneo e indipendente ha stimolato tre delle principali federazioni sanitarie mondiali, l’European Public Health Alliance , l’European Public Health Associations e la World Federation of Public Health Association , a rivedere la propria posizione, riconoscendo pubblicamente il genocidio in atto a Gaza.
Un segnale che mostra come l’azione collettiva e la pressione “dal basso” possano smuovere strutture che, fino a quel momento, avevano preferito il silenzio o dichiarazioni vaghe e insufficienti.
Non si tratta solo di denunciare le violazioni dei diritti umani, ma di pretendere azioni concrete: un cessate il fuoco immediato, l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari, la protezione effettiva di civili e operatori sanitari, la fine delle detenzioni arbitrarie e l’attivazione di meccanismi di giustizia internazionale che possano fermare l’impunità.
È un appello alla responsabilità collettiva, un richiamo a non voltarsi dall’altra parte quando il diritto alla vita e alla dignità di un intero popolo viene messo in discussione.
Stop The Silence non nasce per sensazionalizzare il dolore, ma per trasformare l’evidenza scientifica e documentale in un’azione collettiva. Restare neutrali di fronte a una crisi di queste proporzioni equivale a negare il diritto alla vita, alla salute e alla dignità di milioni di persone.
Sostenere questa campagna significa unirsi a una voce globale che chiede giustizia, protezione e rispetto dei diritti umani fondamentali, contribuendo a fermare la distruzione di un popolo e del suo futuro.