Un'ambulanza mi sorpassa. L'ho sentita arrivare quando era ancora molto lontana, dal viale dell'ospedale mentre si faceva largo tra le auto del pomeriggio che vanno verso il centro. Vi capita mai di avvertire la sirena quando è ancora un suono impercettibile? Ricordo di aver avuto un udito sensibile al richiamo del soccorso sin da quando ero bambina. Mi fermo anch'io sul marciapiede anche se sto camminando a passi lenti. A volte, perché penso che ci sia mio figlio a bordo, in servizio con il 118, e mi attardo per scorgerlo un attimo mentre va di corsa. Altre volte, invece, per riconoscere qualche altro collega e provare un moto d'orgoglio per la loro bravura.
Molto forte, incredibilmente vicino Con il nostro lavoro entriamo nella prossimità di qualcun altro. Prendiamo spazio nel suo circondario .
Se è un'ambulanza di volontari, di cui il sistema sanitario si avvale per far fronte alle innumerevoli chiamate dei cittadini e coprire meglio il territorio altrimenti scoperto, penso che per fortuna ci sono tante persone altruiste e capaci che donano il proprio tempo e si prendono questa grande responsabilità al posto dei sanitari che mancano.
Ci dovrebbero essere sempre professionisti a bordo, ma risorse e mezzi non sono da tempo sufficienti. Invece il sistema è affidato per buona parte a chi ha buon cuore. In ogni caso mi fermo, seppur a piedi, in segno di rispetto per la vita che quelle persone stanno andando a soccorrere.
L'ambulanza è già lontana . Ho fatto in tempo a vedere che non c'era mio figlio accanto all'autista, ma un'infermiera su un mezzo del parco ospedaliero. Era al telefono con la centrale operativa per le ultime indicazioni e gli aggiornamenti del caso.
La conosco bene sin da quand'era ragazzina, era una in gamba già allora. Del resto, crescendo e inseguendo il proprio sogno, non si può che migliorare. Chiunque sia la persona che oggi ha bisogno del 118 e di lei, comunque vada, è in buone mani. L'ho sempre ammirata per il coraggio di fare il nostro lavoro sul territorio. Lo fa quasi sin dall'inizio della sua carriera.
Le auto riprendono la careggiata, così io il cammino. Mi chiedo come si possa andare indifferenti per la propria strada, dopo il passaggio di un'ambulanza , senza fermare un attimo il pensiero su quanto possa essere capitato.
Si immagina sempre sia successo qualcosa di grave chissà dove. Si pensa sia lontano, invece spesso è incredibilmente vicino se la sirena non si perde in lontananza ma d'improvviso s'arresta. Soltanto il giorno dopo, passando distrattamente in rassegna la cronaca cittadina, apprendo che l'ambulanza si era fermata un chilometro più avanti, dove un ciclista era stato investito prima del passaggio a livello.
O al prossimo incrocio, dove un pedone che attraversava sulle strisce è stato sbalzato a venti metri sull'asfalto. O di fronte al supermercato vicino a casa, dove un giovane motociclista si è scontrato con un’auto per una mancata precedenza. O nella via del quartiere, girato l'angolo, dove un uomo è stato colpito da malore nella propria abitazione.
Magari li conoscevo. Magari potevo essere io al loro posto. Per un caso, un ritardo, un anticipo, una distrazione. O trovarmi lì mentre capitava e dover prestare il primo soccorso in attesa del 118.
Gli eventi a cui i soccorritori sulle ambulanze rispondono con prontezza e competenza, sono molto forti. Impattano e, spesso devastano, la vita delle persone rompendo gli equilibri della quotidianità e della salute.
Sono fatti che talvolta ci passano accanto, quasi ci sfiorano con un brivido sulla scia della corsa veloce dei mezzi con i lampeggianti blu. A volte li incrociamo, altre volte ci finiamo dentro quando le ambulanze vengono per noi o per qualche nostro caro. Sono sempre attese con trepidazione, le ambulanze, talvolta con impazienza.
L'ansia si fa sentire quando tardano ad arrivare se le strade sono trafficate o sono tutte già impegnate in altri soccorsi e devono liberarsi, una volta rientrate alla Centrale. E subito ripartono o vengono dirottate da qualche altra parte.
È stato molto forte ed incredibilmente vicino anche l'ultimo episodio di aggressione contro infermieri e medici del mio ospedale, dove si contano già oltre 170 denunce di violenze dall'inizio dell'anno.
Qualche giorno fa, in tarda serata, un paziente in stato di ubriachezza ha seminato il panico in Pronto soccorso minacciando i sanitari con un estintore. Gliel’ha gettato contro, dopo averli ripetutamente insultati, colpendo fortunatamente soltanto una porta. È andato in escandescenze per non essere stato preso in carico subito come avrebbe voluto, pur non avendo alcuna urgenza.
È tutto molto forte, incredibilmente vicino, ciò che avviene sulle strade e nelle case della gente. Lo è anche tra le mura di un ospedale, per chi lo vive e lo abita. Tale vicinanza diventa ancora più intensa lavorandoci. Essa esiste anche senza accorgersene consapevolmente. È lì ad ogni ascensore che si apre e si chiude.
Dietro una parete. Sotto un piano. Sopra un altro. Nel padiglione accanto. Nei sotterranei. Sulla pista dell'elisoccorso. Nelle sale operatorie. In una stanza. In un ambulatorio. Nei corridoi, ad ogni barella che passa. E ad ogni cittadino che cerca risposte ai suoi bisogni di salute e che ci ferma per orientarsi nel nostro mondo, che se per noi è abituale a loro fa paura.
Con il nostro lavoro entriamo nella prossimità di qualcun altro . Prendiamo spazio nel suo circondario. Siamo vicini fisicamente stando accanto durante una prestazione sanitaria e lo siamo emotivamente soltanto immaginando persone al di là di quei muri e di quegli spazi dove si consumano, ogni minuto di ogni giorno, cose incredibilmente forti, difficili da vivere e da capire, da sostenere e da raccontare.
Un'altra ambulanza passa sotto le finestre. La stanza buia si illumina di blu. Ne passa un'altra, che va in direzione opposta. L'ospedale dista soltanto cinquecento metri. Le sento partire, le sento arrivare. Sento la sirena spegnersi quando la meta, dove la cura si completa e il prendersi cura continua, si avvicina. Non c'è posto diverso da abitare qui in città dove starei meglio .