L’Italia spende poco, ma paga un costo alto
Nella Giornata mondiale della salute mentale 2025, l’Italia si trova a un bivio: o rafforza la rete pubblica e territoriale, oppure rischia di ampliare le disuguaglianze
Il report Ocse 2025 stima che la cattiva salute mentale costi all’Italia circa il 3,5% del PIL ogni anno, tra spese dirette e indirette (assenteismo, invalidità, disoccupazione, perdita di produttività). Si tratta di una cifra superiore a quella destinata all’intera rete di assistenza ospedaliera.
Nonostante ciò, la quota di spesa pubblica dedicata alla salute mentale resta ferma attorno al 5% della spesa sanitaria complessiva, meno della metà della media Ocse (11%). Paesi come Danimarca, Norvegia e Olanda investono più del doppio, ottenendo risultati migliori in termini di prevenzione e accesso ai servizi.
Servizi territoriali disomogenei e carenza di professionisti
Il sistema italiano di salute mentale basato sulla Legge Basaglia (1978) e sui Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) è ancora un modello di riferimento internazionale per l’approccio comunitario.
Ma oggi sconta anni di sottofinanziamento e carenze di personale.
- L’Italia dispone di circa 25 infermieri di salute mentale ogni 100.000 abitanti, contro una media Ocse di 43
- Il numero di psicologi pubblici è di appena 3 ogni 10.000 abitanti, contro i 10-12 della media europea
- I Centri di Salute Mentale (CSM) sono 1.500, ma distribuiti in modo diseguale: il Nord ha il doppio delle risorse rispetto al Sud
La carenza di personale determina un sovraccarico dei reparti psichiatrici ospedalieri e dei pronto soccorso, che in molte Regioni sono ormai il primo punto di accesso per le persone in crisi.
Depressione e ansia in aumento tra giovani e donne
I dati Ocse e Iss convergono: depressione e ansia sono in aumento tra i giovani italiani. Nel periodo 2021-2024, la prevalenza dei sintomi depressivi è cresciuta di oltre il 30% tra i 18-34enni, annullando i progressi degli anni precedenti.
Fra le donne, la prevalenza dei disturbi depressivi raggiunge il 7%, con picchi tra chi vive sola o in condizioni economiche difficili.
Nel 2024, secondo il sistema PASSI dell’Iss, quasi una donna su cinque con difficoltà economiche ha riportato sintomi depressivi.
La distribuzione dei servizi aggrava le disuguaglianze: Regioni come Sardegna, Molise e Marche registrano da anni le prevalenze più alte di disagio psichico, a fronte di risorse limitate e lunghi tempi di attesa per visite e terapie.
Operatori sanitari e burnout
Il tema del benessere mentale degli operatori sanitari resta in gran parte sottovalutato. Secondo i dati Ocse, oltre il 40% di medici e infermieri italiani presenta sintomi riconducibili a stress cronico o burnout, una percentuale tra le più alte d’Europa.
L’assenza di programmi strutturati di supporto psicologico nel Servizio sanitario nazionale è un limite evidente. A oggi, solo 4 Regioni su 21 hanno attivato progetti continuativi di supporto psicologico per il personale.
L’Ocse invita i governi a includere la salute mentale del personale sanitario nelle strategie nazionali, riconoscendola come fattore chiave per la sicurezza delle cure e la tenuta del sistema.
Integrare sanità, scuola e lavoro
Il report Ocse invita l’Italia a superare la frammentazione delle politiche sulla salute mentale, adottando una strategia “mental health in all policies”.
Ciò significa includere la salute mentale in ogni ambito pubblico — scuola, lavoro, welfare — e potenziare la prevenzione nei contesti di vita quotidiana.
Tra le raccomandazioni principali:
- Introdurre programmi di educazione emotiva nelle scuole e università
- Rafforzare i servizi di salute mentale nei luoghi di lavoro, oggi quasi assenti
- Stabilizzare gli organici dei Dipartimenti di Salute Mentale, con investimenti su infermieri di comunità e psicologi
- Digitalizzare i servizi: in Italia solo il 12% dei percorsi psicologici utilizza piattaforme telematiche, contro il 40% dell’Australia e il 35% del Regno Unito
La salute mentale come diritto
Nella Giornata mondiale della salute mentale 2025, l’Italia si trova a un bivio: o rafforza la rete pubblica e territoriale, oppure rischia di ampliare le disuguaglianze tra chi può permettersi cure private e chi resta in lista d’attesa.
L’Ocse e l’Oms convergono su un messaggio chiaro: la salute mentale è un diritto di cittadinanza, non un lusso per pochi. Garantirla significa difendere la salute collettiva, l’equità e la sostenibilità del sistema.
Per gli infermieri, i medici e tutti gli operatori della rete territoriale, il futuro passa da qui: dalla capacità di unire competenza clinica, empatia e prossimità. Perché ogni intervento di salute mentale, dal colloquio in ambulatorio alla visita domiciliare, è, prima di tutto, un atto di giustizia sociale.