Freedom Flotilla sequestrata da Israele: a bordo infermieri e operatori sanitari diretti a Gaza

Scritto il 08/10/2025
da Silvia Fabbri

La nave medica “Conscience”, con a bordo oltre cento operatori sanitari tra infermieri, medici e volontari internazionali, è stata sequestrata in acque internazionali dalle forze israeliane mentre era diretta verso Gaza con aiuti e materiale sanitario. L’imbarcazione faceva parte della Freedom Flotilla, missione civile partita dall’Italia per sostenere gli ospedali al collasso nella Striscia. Secondo gli organizzatori l’azione, avvenuta a circa 120 miglia dalla costa, viola il diritto marittimo e i principi di neutralità sanitaria sanciti dalle Convenzioni di Ginevra. Le reti umanitarie chiedono l’intervento delle istituzioni europee e dell’ONU per il rilascio degli equipaggi e la tutela del diritto all’assistenza medica nei conflitti.

La nuova Flotilla umanitaria

abbordaggio freedom flotilla

Frame del video diffuso dall'equipaggio della Freedom Flotilla durante il sequestro.

Nove imbarcazioni partite da Catania e Otranto, coordinate dalle reti internazionali Freedom Flotilla Coalition e Thousand Madleens to Gaza, avevano lasciato le coste italiane nei giorni scorsi con a bordo operatori sanitari, giornalisti e attivisti di 30 Paesi diversi.

Il convoglio trasportava aiuti umanitari, cibo, dispositivi medici e materiale sanitario destinati agli ospedali della Striscia, oggi quasi del tutto fuori uso a causa dei bombardamenti.

L’ammiraglia della missione, la “Conscience”, era considerata una vera e propria “nave medica”, lunga 68 metri, equipaggiata per garantire assistenza di base e trasporto di forniture cliniche.

Medici e infermieri tra l’equipaggio

Sulla “Conscience” si trovavano circa 100 operatori sanitari, tra cui medici, infermieri e personale di supporto provenienti da Europa, Asia e Medio Oriente.

Secondo gli organizzatori, l’obiettivo era raggiungere la Striscia e consegnare aiuti direttamente agli ospedali di Khan Yunis e Rafah, dove la carenza di farmaci e attrezzature ha portato alla sospensione di quasi tutte le attività chirurgiche.

Un’azione che solleva questioni di diritto internazionale

L’attacco in mare aperto ha riacceso il dibattito sulla legalità del blocco navale israeliano, in vigore dal 2007. Secondo le Convenzioni di Ginevra e la Corte Internazionale di Giustizia, il blocco di un territorio civile non può impedire il passaggio di aiuti umanitari né criminalizzare il personale sanitario che partecipa a missioni di soccorso.

Le organizzazioni promotrici chiedono l’intervento delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea per garantire la liberazione degli equipaggi e il rispetto del diritto umanitario. Si tratta di un’azione che va oltre la difesa militare: colpire chi porta cure è una violazione dei principi fondamentali della neutralità sanitaria spiegano.

Tra diplomazia e silenzi

Il Ministero degli Esteri israeliano ha confermato il fermo e annunciato che gli equipaggi sono in buone condizioni e saranno rimpatriati, ma ha ribadito che la missione violava il blocco legittimo su Gaza.

Le organizzazioni umanitarie parlano invece di “azione piratesca” e chiedono un’indagine indipendente sul sequestro.

Sul piano politico, la vicenda si intreccia con i nuovi negoziati di pace in Egitto tra Israele, Stati Uniti e Hamas, mentre l’Onu denuncia “il continuo aggravarsi della crisi umanitaria, con donne e bambini che pagano il prezzo più alto del conflitto”.

Un gesto di solidarietà civile

La Freedom Flotilla, nata nel 2010 dopo l’uccisione di 10 attivisti sulla nave turca Mavi Marmara, si definisce “un movimento internazionale di resistenza non violenta”.

Per i volontari coinvolti, tra cui numerosi operatori sanitari italiani, la navigazione verso Gaza rappresenta un atto di solidarietà civile, ma anche una forma di testimonianza professionale: portare cure dove l’accesso alla salute è negato.