L’infermiere e la prevenzione e gestione del paziente a rischio suicidario
I tassi di mortalità per suicidio in Italia, come in altri Paesi del Mediterraneo, sono significativamente inferiori rispetto ai dati riportati dai Paesi del Nord e del Centro Europa e da altri continenti
, spiega Rita Fersino nella sua tesi di laurea, relatore il professore Maurizio Ramonda. Il suicidio in Italia rappresenta la seconda causa di morte più frequente tra gli uomini di 15- 29 anni, con un numero di vittime analogo a quello causato dai tumori (13% del totale). E i fattori di rischio sono molteplici: dai disturbi mentali a quelli della personalità, ma anche i fattori ambientali incidono, come le condizioni economiche, la disoccupazione. Inoltre, continua la tesi, sono fattori di rischio alcune occupazioni che mettono in contatto con sostanze letali
. Si pensi al giovane infermiere suicida proprio iniettandosi una dose letale di potassio.
Fondamentale – spiega Rita Fersino - è l’attività di prevenzione che è possibile mettere in atto nelle strutture sanitarie. Infatti, nonostante si parli di ambiente controllato e strutturato, i casi di suicidio in tale ambito sono statisticamente significativi e, quindi, necessitanti di una presa in carico efficace e organizzata da parte del personale del sistema sanitario coinvolto
. L’infermiere – continua Fersino - rappresenta la figura professionale costantemente presente in reparto, vicina al paziente non solo da un punto di vista professionale ma anche e soprattutto da un punto di vista umano. La sua formazione riveste un ruolo importante, dato che una scarsa conoscenza e una formazione generalistica del fenomeno si riflette sulla relativa scarsa capacità di prevenzione dello stesso
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Ma non è semplice farsi strada nella scarsa documentazione sul fenomeno. Le posizioni prese sono discordanti e disomogenee – dice Fersino - in quanto secondo alcuni studi la necessità di una formazione specifica è irrilevante, sebbene si pone l’importanza sulla necessità di rafforzare esclusivamente pratiche cliniche di reparto, l’assistenza centrata sul paziente, gli interventi basati sulle evidenze e la collaborazione interprofessionale. Si tende, perciò, a ricorrere a una formazione generale del personale infermieristico per la gestione del paziente a rischio suicidario, nonostante il dilagare del fenomeno
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Una scarsa conoscenza – continua la tesi di laurea -, attitudini e comportamenti sbagliati possano avere un impatto negativo sulla cura e sicurezza del paziente a rischio suicidario, non solo nei reparti dove il fenomeno si presenta con interesse maggiore, ma in tutti i reparti. Perciò, programmi di istruzione specifici e informazioni relative al personale infermieristico possono offrire reali benefici con una valutazione e gestione migliore del paziente e della cura prevista
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Purtroppo – conclude Fersino - la nostra comprensione di questo fenomeno è tutt’altro che completa, ciò deve farci riflettere sulle direttive future che devono intraprendere sia ricerca di base sia ricerca clinica. Importante è anche sottolineare che la prevenzione del suicidio deve basarsi, oltre che sulla ricerca sperimentale, anche su una maggiore sensibilità individuale. Da un punto di vista assistenziale, uno dei compiti del personale infermieristico, che affianca il paziente considerato a rischio di suicidio è quello di accogliere la dimensione psicologica e spirituale di quel particolare momento di vita di chi finisce di essere più affascinato dalla morte che non conosce che dalla vita che non tollera
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Il suicidio è forse un grido di aiuto, talvolta una vendetta ma certamente la manifestazione eclatante del bisogno di una rigenerazione totale. Al personale infermieristico spetta il compito di cimentarsi con le emozioni negative degli individui suicidi e di come trovare quel ponte immaginario che può condurre alla vera comprensione del loro dramma interiore