Infermieristica al terzo anno: l’esperienza di Chiara

Scritto il 26/08/2016
da Chiara Lonardi

I sogni, i desideri, le frustrazioni di chi studia per diventare infermiere sono tantissimi, ma spesso sono frutto di paure che si possono domare e/o superare. Conosciamo Chiara, 23 anni, prossima alla Laurea in Infermieristica. Ci parla del primo reparto in cui ha fatto tirocinio e ci racconta del suo rapporto con i tutor clinici e didattici.

studentessa

Lo studente di Infermieristica è spesso confuso, stressato, demotivato; forse perché studia troppo?

Mi chiamo Chiara, ho 23 anni, sono di Verona e tra qualche mese diventerò Infermiera. Devo dire che il percorso di studi del Corso di Laurea in Infermieristica non è stato per niente semplice. Provato il test d’ingresso un po’ per sfida personale, un po’ perché poteva essere ciò che volevo fare, una volta superato e confermata l’iscrizione universitaria, è iniziato tutto.

Per tre anni divisa tra studio, lezioni, esami, tirocini e convegni, il tempo è volato e quasi non mi sembra vero di essere arrivata alla fine. Partiti in 300 studenti al primo anno, siamo arrivati in circa 170 al terzo.

Ricordo ancora perfettamente l’ansia e la paura che volava in quell’aula troppo grande e affollata perché il tuo sogno potesse diventare realtà. Eravamo in tantissimi, da tutta Italia. Qualche compagno universitario l’abbiamo perso durante il percorso. Alcuni hanno abbandonato, perché sognavano di diventare medici, altri non si sentivano nel posto giusto, mentre chi come me ha deciso di restare è perché lo desiderava veramente.

Personalmente trovo che quello dello studente infermiere sia un bellissimo percorso, mi ha permesso di crescere e maturare interiormente. Nei tre anni di lezione siamo stati inondati di conoscenze, curiosità e modalità d’insegnamento diverse.

Durante il tirocinio ci siamo messi alla prova; oltre alle nozioni apprese in aula, abbiamo fatto uscire la parte migliore di noi, quella che ci ha spinti ad iscriverci a questo corso. La nostra umanità, il nostro cuore e il voler aiutare chi è in difficoltà erano e sono il pane quotidiano che vogliamo mangiare.

La scelta del reparto durante i primi due anni di tirocinio viene fatta dai nostri docenti, mentre al terzo anno abbiamo la possibilità di esprimere le nostre preferenze. Siamo tutti molto tesi mentre aspettiamo che sul sito ufficiale dell’Università di Verona escano gli elenchi con il reparto a cui si è stati assegnati.

Infermieristica è un mix di tensione, gioia, paure ed emozioni

Stabilita la data d’inizio, ritirata la divisa, indossate le calzature da lavoro, rimosso lo smalto dalle unghie e riposto nella tasca il fonendoscopio, inizia l’avventura con il primo giorno di tirocinio. La prima settimana va sempre un po’ “così”, ma poi è tutto un crescendo nei giorni successivi. Ci si confronta ogni giorno con il dolore, il pianto, a volte la morte. Ci sono i “grazie”, i sorrisi, le parole di cortesia, i bei gesti, le caramelle della signora Maria e poi c’è Lucia, che non vede l’ora di vederti perché le sei simpatica.

Ci sono pazienti diversi, perché le persone sono diverse; chi ci mette un secondo a raccontarti la sua vita, di quando era giovane e bello, di chi ha vissuto durante la guerra e chi ha viaggiato tantissimo e sorride mentre ti racconta quello che si ricorda, chi ha bisogno solo di uno sguardo e chi invece non ne vuole proprio sapere di te.

Ho imparato ad approcciarmi in maniera diversa in base a chi mi ritrovo di fronte. Una cosa che però non cambio mai quando entro in una stanza è il sorriso; un sorriso appena accennato, per vedere se anche il paziente ha voglia di sorridere oppure se ha decisamente altro per la testa.

Al primo anno del mio tirocinio mi sono ritrovata catapultata nel reparto di Neurochirurgia, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. È stato veramente difficile, non sapevo muovermi, i corridoi erano infiniti e le stanze silenziose.

Ho conosciuto i miei primi pazienti. Mi ricordo ancora di Alessia, che si lamentava con il chirurgo perché le avevano tagliato i capelli troppo corti. Di Giulio, che piangeva sempre perché aveva le ore contate, di Laura che leggeva i messaggi che il suo ragazzo le aveva mandato e sorrideva. Sembrava felice.

Mi ricorderò per sempre di Silvia, una donna bella e piena di vita; forte, ma che ora è un angelo.

Penso di averci lasciato il cuore in quel reparto.

Vedevo gente che piangeva ogni giorno, perché la vita era stata troppo dura, perché il tumore era troppo grosso affinché il chirurgo riuscisse a farli vivere ancora, a dar loro una speranza di vita.

Tornando a casa ogni giorno mi chiedevo perché fosse tutto così difficile, così cattivo e doloroso. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di lasciare, non riuscivo a darmi una risposta davanti a tutto quel dolore e in realtà non l’ho ancora trovata, non la troverò mai.

Ho solo capito che ero nel posto giusto, perché sapevo di poter fare qualcosa di speciale, nel mio piccolo. L’ultimo paziente che ho conosciuto è stato Luca, un tipo strano sulla quarantina, sempre un po’ con il muso lungo. Ogni volta che entravo nella sua stanza aveva le cuffiette nelle orecchie, non riuscivo mai a parlarci.

Un giorno sono entrata con il mio lettore mp3 in mano e gliel’ho dato; questo gesto l’ha fatto sorridere come non lo avevo mai visto fare prima e si è messo ad ascoltare la mia playlist. Quel giorno Luca ha conosciuto Ludovico Einaudi e penso che, come me, se ne sia innamorato.

Il percorso dello studente di Infermieristica è bello, perché ogni giorno ci permette di imparare qualcosa di nuovo, una nuova patologia, un nuovo farmaco, un nuovo tipo di intervento e una nuova storia di vita.

Ci si confronta con figure professionali diverse, dal primario al medico, dal chirurgo allo specializzando e agli operatori socio sanitari. Ognuno è una parte fondamentale in questo meccanismo imperfetto. Ho imparato a rispettare il lavoro di ognuno di loro, ho rubato un po’ di qua e di là conoscenze, saperi e modi di lavorare.

A volte ho trovato cose che non mi sono piaciute e me ne sono discostata. Ho fatto tesoro negli anni di tutto quello che ho visto e imparato. Ho conosciuto persone fantastiche, storie di vita bellissime e altre un po’ di difficili da digerire.

Un aspetto fondamentale durante il tirocinio è la collaborazione con gli altri studenti del corso. Siamo circa in 15 per reparto, suddivisi tra i vari turni e ci aiutiamo, ci confrontiamo e ridiamo un sacco. Si crea una bella atmosfera ed è un modo, forse, per “far riposare” la testa da tutto quello che ci passa davanti agli occhi.

C’è chi sviene vedendo una brutta lesione da decubito, chi invece preferisce uscire dalla stanza di un paziente deceduto, perché non si sente pronto ad affrontare la cosa. Difficile ritenersi pronti di fronte a certe questioni così delicate, ma in fondo non ci si può sempre tirare indietro e a noi piace pensare che stando uniti sia più facile per tutti.

Un aspetto che quasi tutti noi studenti abbiamo provato sulla nostra pelle è stata la difficoltà di staccare la spina finito il turno, soprattutto al primo anno. Usciti dal reparto si corre negli spogliatoi e ci si confronta, c’è chi esce a fumare una sigaretta per sfogarsi, chi è troppo stanco per parlare e chi ti racconta che ha messo il suo primo catetere ed è felice, perché non ha sbagliato niente.

È un mondo che ti travolge, ti fa pensare, ti fa capire che ciò che conta veramente è l’importanza, il valore delle persone. Ti rende consapevole ogni giorno di quanto sei fortunato ad essere dall’altra parte del letto, di quanto la tua vita sia bella e preziosa, anche quando a volte te ne dimentichi, perché sei troppo arrabbiato o insoddisfatto.

Sono tre anni ricchi di aspettative, paure, fallimenti e soddisfazioni. Questi anni ti formano emotivamente e professionalmente.

Sentiamo la sveglia suonare alle 6. Non è sempre facile alzarsi dal letto, ma arrivati a questo punto del percorso abbiamo la consapevolezza che ciò che vogliamo è davvero condividere la nostra vita con quelle degli altri.

Lo vogliamo ogni giorno, perché ce lo sentiamo dentro, viene dal cuore e sappiamo che possiamo fare qualcosa di buono per gli altri.

Il percorso da studente infermiere mi ha aiutata tanto; prima di cominciare non ero certo la ragazza che sono ora.

Prima erano tante le cose alle quali non facevo caso, davo tutto per scontato e dovuto, non capivo cosa volesse dire voler bene con il cuore. Esserci per qualcuno che ha bisogno, sorridere perché ci si sente di farlo.

Non è facile essere sé stessi in questo mondo, perché si ha sempre paura del giudizio altrui, ma grazie a questa esperienza ho imparato il valore di essere me stessa, senza maschere, nella mia semplicità. Affronto ogni giorno con l’obiettivo di fare stare bene gli altri, con la consapevolezza che anche se a volte sarà difficile e mi sentirò piccolissima, mi ricorderò che è quello per cui ho studiato e sacrificato nel migliore dei modi parte della mia gioventù.

Se dovessi dire qualcosa a chi sta valutando l’idea di intraprendere questa carriera, potrei dire solo che è fantastica, perché ti apre un mondo diverso; ti forma a vedere la vita con altri occhi, impari sulla tua pelle cosa significhi essere in salute e cosa significhi non esserlo.

Quando ripenso ai giorni spesi nei vari reparti, sorrido; sono ancora in contatto con alcuni infermieri che ho conosciuto. Sono nate relazioni speciali e tra gli studenti, condividendo un percorso così particolare, il rapporto si intensifica. Ci si affeziona, si condividono un sacco di cose.

Un mio docente delle scuole superiori ripeteva sempre che fare l’infermiere è un dono, una missione; non tutti sono portati a farlo, ma grazie a Dio qualcuno che ha ricevuto questo dono c’è ancora.

Terminato il periodo del tirocinio giunge il momento dei saluti; c’è sempre un velo di tristezza nel salutare il reparto, il tuo Tutor infermiere e ci si promette che si passerà a trovarli appena si avrà un attimo di tempo.

Per quanto riguarda noi studenti, finiti esami e discussa la tesi, ci separeremo. Alcuni cercheranno lavoro, c’è chi partirà per Londra per studiare e chi per lavorare, c’è chi rimarrà a Verona e chi andrà a Roma per frequentare un Master.

Siamo gli studenti del terzo anno e saremo Chiara, Giulia, Isabella, Eleonora, Pietro, Matteo, Federico: Infermieri.

Finalmente Infermieri

Con queste righe volevo presentare la componente emotiva dell’essere studenti infermieri. Le paure per noi sono tante, il futuro sempre molto incerto, ma abbiamo solo 23 anni e ci portiamo dietro la voglia di vivere e di fare qualcosa di unico per gli altri.

Tra poco mi laureerò e, a dirla tutta, ho un sacco di paura. Spero di essere all’altezza, perché tra i banchi dell’Università non te le insegnano certe cose. Ho sfoggiato il mio sorriso migliore, la mia vita l’ho lasciata in ospedale insieme a quella degli altri, perché ho sempre pensato che se siamo tutti insieme, tutto può prendere risvolti migliori.

Spero di mantenere negli anni questa gioia nel fare quello per cui penso di essere nata. Sicuramente conserverò questo articolo tra le mie pagine dei libri e lo leggerò durante la mia ultima sessione d’esame, prima della mia laurea e mentre sarò al lavoro, un giorno, perché rileggendo queste righe mi rendo conto di quanto sia diventata forte e consapevole di ciò che sono.

Con queste mie parole mi auguro di essere riuscita a strappare un sorriso a tutti gli infermieri o figure professionali che le leggeranno, a farli riflettere sull’importanza che hanno per gli altri, perché a volte i “grazie”, i bei gesti, le caramelle non arrivano; sapete bene che non sempre c’è il sole.

Può piovere per un po’, ma oggi volevo far vedere il sole anche a voi