Butrinto, viaggio nel tempo e ritorno per gli infermieri

Scritto il 02/09/2018
da Giordano Cotichelli

All'estremo sud dell'Albania, poco lontano dalla costa e dal confine greco, c'è il sito archeologico di Butrinto. Qualcuno l'ha definita la Pompei dell'Epiro, in realtà i resti della città rappresentano una narrazione a cielo aperto della cultura occidentale e dei valori comunitari. Su di un promontorio che si staglia sul Canale di Vivari, si trovano le rovine di una città che risale alla civiltà greca ed epirota, passa per la dominazione romana e bizantina e diventa presidio di terraferma della Corfù veneziana. Una piccola città stato che offre al visitatore molti luoghi interessanti: il Foro e le Terme, l'Anfiteatro e l'Agorà.

Cose da vedere in Albania

 Butrinto

Acropoli di Butrinto

Ci sono le rovine della Basilica romana che, negli scarni muri esterni ricordano un pò l'Abbazia di San Galgano vicino Siena. E poi, non potevano mancare, ci sono le rovine del tempo di Esculapio. Luogo di cura e di benessere, devozione e raccoglimento, posta ai lati dell'anfiteatro. Non è certo un ospedale dell'antichità, ma di certo è un punto di attenzione comunitaria per chi aveva qualche problema di salute.

Inservienti ed ancelle si prendevano cura dei viandanti che vi giungevano, la comunità attorno faceva sentire il pulsare della sua vita culturale, commerciale e religiosa. Si, non è un ospedale dell'antichità, ma neanche quello moderno così come siamo abituati a conoscerlo quale istituzione totale e separata. Tra le rovine diverse le incisioni che attestano l'affrancamento di schiavi. Fatto che sembrerebbe proprio legato al luogo di cura e di culto, unico sito dove gli schiavi potevano essere curati gratuitamente e pregare per poter avere la guarigione sperata per le loro infermità.

Una volta guariti diventavano automaticamente liberi. Insomma, gli ultimi assistiti e curati dagli ultimi, dato che, spesso nel mondo classico, i compiti di cura e assistenza erano assolti dagli stessi schiavi.

Insomma Butrinto, e l'Albania, sono luoghi da visitare i quali, oltre la peculiarità dell'area, permettono di soffermarsi, ottenendo dal passato e dalla diversità dei luoghi stimoli per capire la complessità del presente, dell'assistenza, dell'accoglienza stessa. L'Albania è un paese, povero, molto povero. Gli stipendi medi si aggirano attorno a 220 dollari nel settore privato e 330 nel pubblico. Un infermiere guadagna circa 200 euro al mese.

La sanità è pubblica, ma con enormi problemi di disuguaglianza nella salute. La mortalità infantile è del 6,2 per mille (al secondo posto nei Balcani, dopo la Macedonia). Alle acque cristalline che bagnano le sue coste, fanno da contraltare ettari ed ettari di entroterra pesantemente contaminati dalle scelte scellerate delle politiche industriali dell'era di Enver Hoxha. E, in tema di accoglienza, forse qualcuno ricorda l'immagine drammatica della Vlora, la nave strabordante di albanesi (20.000) che l'8 agosto del 1991 giunse al porto di Bari. Il più grande sbarco di migranti mai avvenuto a tutt'oggi in Italia.

Il mondo infermieristico in tutto ciò è un grande assente. Lascia alla scelta individuale, e molto spesso "di pancia" il farsi carico di temi della politica che non considera importanti o inerenti o pregnanti la sua dimensione professionale.

Quasi sembra affermare un "Prima gli infermieri…", fine a se stesso. Quasi. Oltre non si può andare senza rischiare di scatenare sterili ed arroganti polemiche che vanno molto di moda. Anche se, non si può non dirlo, questo agosto drammatico per il nostro paese (Foggia, Bologna, Genova, Catania, etc.), ci obbliga veramente a pensare se "Siamo pronti", se Noi infermieri siamo … veramente pronti a rivendicare all'interno della società in cui viviamo i valori etici, umani e culturali propri della nostra professione e della nostra dottrina scientifica e, anche se ogni giorno lavoriamo nei tanti moderni templi di Esculapio, viene quasi da pensare che difficilmente contribuiremo alla liberazione di qualche schiavo.

In questo, per ritornare all'attualità del passato, fra i resti dell'Acropoli di Butrinto, ci si imbatte nella Porta dei Leoni, così chiamata per il bassorilievo che ivi raffigura la figura di un felino che azzanna un toro.

Un'immagine da cui sembra derivare proprio il nome di Butrinto: bue trafitto.

Ecco, come infermieri non possiamo più stare a guardare. Dobbiamo scegliere se parteggiare per chi è trafigge, o per chi è trafitto.