come un ambiente freddo, dove il personale non può far molto per condizionare l’umore del paziente. Un ambiente dove vige un lavoro meccanico e poco empatico. Mi sbagliavo. Ed è qui che ho capito di aver fatto la scelta più giusta che potessi mai fare.
Io non sono nessuno, ma lei mi ha fatto sentire davvero importante
Équipe di sala operatoria durante un'operazione chirurgica
Quando mi hanno detto che avrei potuto assistere ad un’operazione in blocco operatorio il mio entusiasmo era fuori controllo. Quando mi hanno detto che avrei avuto la possibilità di vivere questa paziente a 360 gradi a partire dall’accettazione, al portarla in sala operatoria e assistere al suo intervento, nel mio piccolo, mi sono sentita “grande” e quella paziente come non mai l’ho percepita come “la mia paziente”.
Fra una spiegazione e l’altra, in blocco mi si è aperto un nuovo mondo . Non tutti hanno la possibilità di vivere l’esperienza che a me è stata concessa. Un sentito ringraziamento lo devo ad Antonella Massari , coordinatrice del dipartimento di Chirurgia della fondazione Poliambulanza e al mio tutor universitario , Roberto Ricci .
Rimozione di metastasi epatiche All’arrivo in reparto è stato spiegato alla signora che l’avrei accompagnata nel suo percorso, motivo per il quale mi sarei occupata io della sua accettazione in reparto e l’avrei poi accompagnata in blocco operatorio il giorno dopo.
Durante l’accettazione a lei poco importava chi avesse il compito di trasferirla dal reparto al “piano 0”, ciò che le premeva era che tutto finisse velocemente.
Dal quarto piano al piano zero sono passati solo pochi minuti. Pochi minuti durante i quali lei mi ha raccontato di tutto . Non era la sua prima operazione, sapeva cosa le aspettava.
Ho sempre immaginato il blocco operatorio come un ambiente freddo, dove il personale non può far molto per condizionare l’umore del paziente. Un ambiente dove vige un lavoro meccanico e poco empatico. Mi sbagliavo .
A livello emotivo è stata una vera e propria esplosione di emozioni . Io percepivo le sue paure e lei con modo da fare un po’ da mamma, percepiva le mie; ci siamo incoraggiate a vicenda e ciò ha reso il tutto ancora più coinvolgente.
Una volta trasferita dalla carrozzina al lettino ha preso la mia mano e non l’ha mai lasciata, nonostante arrivassero le diverse figure a presentarsi per spiegarle tutto ciò che poteva essere di suo interesse in quel momento.
I minuti passavano lentamente nella stanza che precedeva il blocco e lei non faceva altro che parlare, ma solo con me, con i diversi operatori si limitava a rispondere alle domande che le venivano poste.
Quando ho notato questo particolare ho capito che nel mio piccolo in realtà stavo facendo tanto , lei aveva fiducia nei miei confronti, non si vergognava a dirmi che aveva paura. Si è messa a piangere e spontaneamente le ho asciugato le lacrime che iniziavano a segnarle il volto.
Grazie .
Non stavo facendo nulla se non sorreggerla emotivamente e lei, nonostante avesse la testa sommersa da infiniti pensieri, ha avuto la premura di ringraziarmi. E cosa si risponde in determinate circostanze?
La verità è che sono stata colta impreparata, non ho risposto, le ho semplicemente sorriso e questo è bastato a interrompere il suo pianto.
Senza rendercene conto ci ritroviamo in blocco e l’attimo prima che lei chiudesse gli occhi sotto effetto dell’anestesia mi ha rivolto l’ultimo sguardo: Non lasciarmi, ci vediamo dopo .
Come faccio io, studente del secondo anno, a descrivere quello che ho provato dopo queste parole? Sarebbe scontato e riduttivo dire che non ci sono parole per far comprendere certe emozioni, in realtà c’è così tanto da dire che non si sa mai da dove iniziare.
Una donna minuta, con così tanta forza. Ci siamo riviste due giorni dopo l’operazione, sono andata a salutarla nella sua stanza, volevo chiederle di persona come stava, come andavano le cose.
Sono stata accolta con un Eccoti qui, ti stavo aspettando . Io non sono nessuno, ma lei mi ha fatto sentire davvero importante .
Ammirazione.
È di fronte ad una paziente del genere che io capisco di aver fatto la scelta più giusta che potessi mai fare.
È di fronte ad una paziente così che capisci quanto sia importante la vita e quanto possa essere fondamentale e mai banale il sostegno emotivo .
Per una questione di privacy, devo limitarmi a definirla “una paziente”, in realtà lei ha un nome e sarà per sempre stampato dentro di me.
Nicole Naccarato , Studentessa Infermiera