Negli ultimi anni l’Ecmo pediatrica (Extracorporeal Membrane Oxygenation) ha assunto un ruolo sempre più rilevante nei contesti di insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria grave, refrattaria alle terapie convenzionali. Non si tratta di una terapia curativa, ma di una tecnica di supporto extracorporeo temporaneo, che consente di garantire ossigenazione e/o perfusione adeguata mentre si interviene sulla patologia di base o si attende un recupero funzionale. In età pediatrica l’Ecmo rappresenta una delle espressioni più complesse dell’intensivistica moderna, sia dal punto di vista clinico sia organizzativo, e richiede criteri di selezione rigorosi, competenze avanzate e un approccio multidisciplinare strutturato.
Che cos’è l’Ecmo
Ecmo
L’Ecmo è una forma di circolazione extracorporea che prevede il prelievo del sangue venoso dal paziente, la sua ossigenazione attraverso una membrana artificiale e la successiva reinfusione nel circolo.
In base al supporto richiesto, si distinguono due configurazioni principali:
Ecmo veno-venosa (VV), indicata nei casi di insufficienza respiratoria grave con funzione cardiaca conservata;
Ecmo veno-arteriosa (VA), utilizzata quando è presente anche una compromissione emodinamica significativa o uno shock cardiogeno.
La scelta della modalità dipende dal quadro clinico, dall’età, dal peso del bambino e dalla patologia sottostante, e viene effettuata da team esperti secondo protocolli condivisi.
Esiti clinici e importanza del follow-up
Nell’Ecmo pediatrica, la valutazione degli esiti non può limitarsi alla sopravvivenza alla fase acuta. L’evoluzione delle conoscenze e l’aumento del numero di sopravvissuti hanno spostato l’attenzione verso gli outcome funzionali, in particolare neurologici e neurocognitivi, che rappresentano una dimensione centrale dell’efficacia del trattamento.
La letteratura evidenzia come i bambini sottoposti a Ecmo presentino un rischio aumentato di complicanze neurologiche, sia acute sia tardive, legate a molteplici fattori: gravità della patologia di base, instabilità emodinamica, alterazioni dell’ossigenazione e della perfusione cerebrale, eventi emorragici o ischemici e durata del supporto extracorporeo. Per questo motivo, la sopravvivenza viene oggi considerata un endpoint necessario ma non sufficiente.
Gli esiti clinici risultano eterogenei e dipendono dall’indicazione all’Ecmo, dall’età del paziente, dalle condizioni cliniche pre-ECMO e dalla comparsa di complicanze durante il trattamento. In questo contesto, il follow-up strutturato assume un ruolo chiave per l’identificazione precoce di eventuali deficit neurologici, cognitivi, motori o comportamentali, che possono emergere anche a distanza di tempo dalla dimissione.
Un approccio integrato che includa valutazione neuroevolutiva, monitoraggio funzionale e continuità assistenziale consente non solo di descrivere gli esiti, ma di intercettare bisogni riabilitativi precoci e di accompagnare il bambino e la famiglia nel percorso post-intensivo. In questa prospettiva, l’ECMO non si esaurisce nella gestione dell’emergenza, ma si inserisce in un continuum di cura che prosegue oltre la fase critica.