Disturbo primario del linguaggio: segnali precoci e percorsi terapeutici

Scritto il 18/09/2025
da Chiara Sideri

Il disturbo del linguaggio è il problema di neurosviluppo più diffuso in età pediatrica e può avere ricadute significative sulla vita scolastica, emotiva e sociale dei bambini. Una diagnosi precoce e interventi mirati, supportati dal lavoro in rete di pediatri, logopedisti, infermieri e neuropsichiatri, sono fondamentali per distinguere un ritardo transitorio da un disturbo persistente e garantire percorsi di crescita più sereni.

La diagnosi precoce è la chiave per lo sviluppo

disturbo del linguaggio

Il disturbo del linguaggio rappresenta il disordine del neurosviluppo più frequente in età evolutiva, con una prevalenza che varia dal 7 al 10% nei bambini in età prescolare.

Non si tratta di un semplice “parlare tardi”: le difficoltà possono estendersi al vocabolario, alla costruzione delle frasi e alla comprensione, compromettendo il percorso scolastico e il benessere emotivo e sociale.

La Consensus Conference CLASTA–FLI (2019) ha sottolineato l’importanza di una diagnosi tempestiva, di strumenti standardizzati e di interventi riabilitativi basati su evidenze scientifiche. Parallelamente, pediatri, logopedisti, infermieri e neuropsichiatri infantili hanno un ruolo determinante nell’intercettare i segnali e accompagnare le famiglie.

Riconoscere i segnali, distinguere un ritardo transitorio da un disturbo persistente e avviare un intervento tempestivo rappresentano oggi le sfide principali per garantire ai bambini le migliori opportunità di sviluppo.

Disturbo del linguaggio: definizione e quadro clinico

Secondo il DSM-5 (APA, 2013) e la Consensus Conference italiana CLASTA–FLI (2019), il disturbo del linguaggio si configura come una condizione neuroevolutiva caratterizzata da difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso del linguaggio, che possono manifestarsi nelle diverse modalità comunicative (orale, scritta, gestuale).

Le principali manifestazioni cliniche comprendono:

  • vocabolario limitato e poco variegato;
  • frasi brevi, semplici e con errori morfosintattici;
  • difficoltà nel racconto e nell’organizzazione narrativa;
  • compromissione delle competenze pragmatiche, cioè dell’uso del linguaggio in contesto.

In Italia, il termine più diffuso è stato a lungo Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL), traduzione di Specific Language Impairment (SLI). Negli ultimi anni, tuttavia, la comunità scientifica ha sottolineato che il disturbo non è mai “puramente specifico”, poiché spesso si accompagna a fragilità cognitive, mnestiche o attentive. Per questo, la Consensus Conference propone di adottare la definizione di Disturbo Primario di Linguaggio (DPL) o, in linea con la letteratura internazionale, di Developmental Language Disorder (DLD).

Ritardo di linguaggio o disturbo?

Molti bambini presentano un avvio tardivo del linguaggio e vengono definiti late talkers (parlatori tardivi). Circa il 70% recupera spontaneamente entro i 3 anni, configurandosi come late bloomers (che sviluppano più tardi). Tuttavia, nel 5-7% dei casi le difficoltà persistono oltre i 4 anni, evolvendo in un Disturbo Primario di Linguaggio (DPL) o Developmental Language Disorder (DLD).

Oltre ai segnali precoci già noti (assenza di prime parole entro i 18 mesi, vocabolario ridotto a 24 mesi, assenza di combinazioni di parole a 30 mesi, difficoltà di comprensione e scarso uso di gesti comunicativi), la letteratura individua altri indicatori di rischio:

  • Bassa variabilità della lallazione nei primi mesi di vita, che predice un lessico più povero a 18-24 mesi.
  • Limitata combinazione gesto-parola: i bambini che non integrano precocemente gesti e parole hanno maggiore probabilità di sviluppare un disturbo persistente.
  • Ridotta capacità di imitazione di parole o suoni, indice di fragilità fonologica.
  • Qualità del gioco simbolico: un gioco simbolico scarso o atipico è associato a maggior rischio di DPL.
  • Persistenza di difficoltà grammaticali oltre i 3 anni, soprattutto nella lingua italiana: omissione dei clitici, errori morfologici nei verbi, frasi telegrafiche.
  • Fattori di rischio familiari e ambientali: storia familiare di disturbi di linguaggio/apprendimento, sesso maschile, basso status socio-economico, input linguistico ridotto o di scarsa qualità.
  • Profilo di memoria fonologica: difficoltà nella ripetizione di non-parole sono un marker altamente sensibile di rischio evolutivo per DPL.

Strumenti e marker clinici

La diagnosi di disturbo del linguaggio richiede una valutazione multidimensionale, che integri anamnesi familiare, osservazione clinica e strumenti standardizzati. È fondamentale distinguere tra un ritardo transitorio e un disturbo persistente, considerando non solo la produzione verbale, ma anche la comprensione, l’uso dei gesti e il gioco simbolico.

La Consensus Conference CLASTA–FLI (2019) raccomanda l’impiego di test convalidati e sensibili alle diverse componenti linguistiche. In lingua italiana, alcuni marker precoci si sono rivelati particolarmente affidabili per identificare i bambini a rischio:

  • omissione dei pronomi clitici,
  • difficoltà nell’uso della terza persona plurale dei verbi,
  • compromissione della ripetizione di non-parole, indice di fragilità della memoria fonologica.

Altri indicatori utili, emersi dalla letteratura, sono la bassa variabilità della lallazione, la scarsa combinazione gesto-parola e la limitata capacità di imitazione. Questi segnali, se persistenti dopo i 3-4 anni, aumentano la probabilità di evoluzione verso un disturbo primario di linguaggio.

Le evidenze più recenti (2023–2025) sottolineano inoltre l’importanza di considerare i fattori di rischio familiari e ambientali (storia familiare di DSL/DLD, sesso maschile, basso status socio-economico) e i profili neurocognitivi associati, come la memoria fonologica e l’attenzione. Solo un approccio integrato e precoce consente di definire la diagnosi con precisione e orientare tempestivamente il percorso terapeutico.

Approcci terapeutici e riabilitativi

Il trattamento logopedico è l’intervento di elezione e deve essere personalizzato in base al profilo linguistico e cognitivo del bambino. Gli approcci maggiormente supportati dalle evidenze scientifiche includono:

  • Potenziamento fonologico: attività mirate alla discriminazione e produzione dei suoni, fondamentali per la successiva acquisizione della letto-scrittura.
  • Interventi morfosintattici: esercizi strutturati per consolidare le regole grammaticali e ridurre gli errori ricorrenti (es. omissioni di clitici, tempi verbali).
  • Training lessicale e narrativo: arricchimento del vocabolario e lavoro sulle competenze discorsive, attraverso racconti guidati, narrazione di esperienze ed espansione lessicale.
  • Coinvolgimento dei genitori (parent training): programmi che forniscono strategie pratiche per stimolare il linguaggio in contesti naturali e quotidiani, migliorando la generalizzazione degli apprendimenti.

Oltre agli approcci tradizionali (fonologia, morfosintassi, lessico/narrazione, parent training), la letteratura recente segnala alcuni aspetti rilevanti:

AmbitoContenuto
Intensità e frequenza della terapiaNon conta solo il tipo di intervento, ma anche la sua intensità. Le revisioni più recenti sottolineano che programmi più intensivi e regolari hanno esiti migliori rispetto a percorsi sporadici o frammentati.
Interventi lessicali integratiUna systematic review del 2025 ha mostrato che gli interventi che combinano stimoli fonologici e semantici sono i più efficaci per incrementare il vocabolario. Tuttavia, rimane limitata la generalizzazione a parole nuove non trattate.
Approcci conversazionaliModelli innovativi, come il programma Better Conversations With Developmental Language Disorder (BCDLD), mirano a migliorare le competenze conversazionali e pragmatiche piuttosto che i soli aspetti formali. I primi risultati sono promettenti ma preliminari.
Uso mirato delle tecnologie digitaliStudi recenti segnalano l’interesse per app e videogiochi riabilitativi, soprattutto per la fonologia. Tuttavia, l’efficacia complessiva sul linguaggio espressivo rimane da confermare e questi strumenti vanno considerati come supporti integrativi, non sostitutivi della terapia logopedica.
Training uditivoAlcuni programmi di auditory training hanno dimostrato un miglioramento nella percezione del parlato e nella memoria fonologica. Tuttavia, non sempre questo si traduce in progressi linguistici globali, per cui non rappresentano un trattamento primario.
Ruolo del parent training estesoLe evidenze continuano a sottolineare che i programmi mediati dai genitori sono tra i più efficaci. Coinvolgere attivamente la famiglia permette di aumentare le opportunità di stimolo linguistico e migliorare la prognosi a lungo termine.

La logopedia tradizionale rimane il cuore del trattamento, ma le evidenze mostrano che intensità, precocità, coinvolgimento familiare e approcci integrati fonologia-semantica sono i veri fattori determinanti per la prognosi. Accanto a questi, strumenti digitali e training innovativi rappresentano aree di ricerca promettenti, pur non essendo ancora consolidate come standard.

In questo scenario, ridurre il disturbo del linguaggio a un semplice ritardo significherebbe sottovalutarne la complessità clinica e le conseguenze a lungo termine. Al contrario, una diagnosi precoce, un trattamento logopedico personalizzato e un approccio integrato che coinvolga professionisti sanitari, scuola e famiglia sono le condizioni necessarie per limitare le sequele e favorire uno sviluppo armonico delle competenze comunicative, cognitive e relazionali del bambino.