Il cervello non ha sesso: neuroscienze tra biologia, cultura e stereotipi

Scritto il 22/09/2025
da Chiara Sideri

Le neuroscienze archiviano il mito del “cervello maschile” contrapposto a quello “femminile”. Le ricerche della neuroscienziata Daphna Joel, rilanciate in Italia anche da Martina Ardizzi, neuroscienziata italiana, mostrano un mosaico cerebrale: combinazioni uniche di tratti che si modellano con l’esperienza. Non è solo teoria: cambiano scuola, clinica e narrazioni sociali, invitandoci a superare gli stereotipi e a leggere le differenze nella loro complessità.

Un mito da superare: cervello maschile e femminile

cervello machile e femminile

Le ricerche di Daphna Joel mostrano un mosaico cerebrale

Per decenni, la scienza e la cultura hanno diviso il cervello umano in due categorie rigide: maschile e femminile. Questa distinzione ha alimentato stereotipi consolidati, secondo cui uomini e donne avrebbero innati diversi talenti cognitivi e approcci emotivi.

Tuttavia, le neuroscienze contemporanee stanno abbattendo questo paradigma binario, rivelando un quadro molto più complesso e sfumato. Non esiste un cervello maschile o femminile, ma un insieme variegato di caratteristiche che possono coesistere nello stesso individuo in un vero e proprio “mosaico cerebrale”.

A sostenerlo sono ricerche pionieristiche come quelle della neuroscienziata israeliana Daphna Joel, la cui analisi di oltre 5.500 risonanze magnetiche ha rivoluzionato il nostro modo di capire la relazione tra sesso biologico e struttura cerebrale.

Conferme arrivano anche dalla neuroscienziata italiana Martina Ardizzi, che sottolinea come la distinzione tra cervello maschile e femminile nasca più dalla cultura che da dati scientifici solidi. Il cambiamento non è solo accademico: investe l’educazione, la clinica e la società, spingendoci a ripensare come interpretiamo le differenze di genere e la loro influenza sulla salute e sul comportamento umano.

Per lungo tempo si è creduto che il cervello maschile fosse specializzato nel ragionamento logico e matematico, mentre quello femminile fosse dotato di maggiori abilità comunicative ed empatiche. Questi pregiudizi trovavano spesso un’apparente giustificazione in leggere differenze anatomiche, come la dimensione media del cervello, più piccola nelle donne.

Ma le neuroscienze attuali smontano queste convinzioni: le differenze esistono solo come medie statistiche e non come categorie nette e separate. Come sottolinea Ardizzi, le capacità individuali non si possono ridurre al sesso biologico, e il concetto stesso di cervello “maschio” o “femmina” si rivela più una costruzione culturale che scientifica.

Il mosaico cerebrale: un paradigma rivoluzionario

La teoria più innovativa è quella del “mosaic brain”, proposta da Daphna Joel. Attraverso l’analisi di migliaia di cervelli, Joel ha mostrato che casi di cervelli esclusivamente maschili o femminili sono eccezionali: la maggior parte degli individui mostra una combinazione unica di tratti, alcuni più frequenti negli uomini, altri nelle donne, e molti condivisi.

Questo mosaico cerebrale è dinamico e modelle la sua attività in base all’interazione tra biologia e ambiente. In parole semplici, “non esistono due tipi di cervello, ma molti modi diversi di essere umani”.

Plasticità cerebrale: il ruolo dell’esperienza

Una chiave per comprendere questa complessità è la plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di modificarsi in risposta a esperienze e stimoli ambientali. Ardizzi spiega che le differenze osservate nelle prestazioni cognitive tra sessi, come in matematica, non sono una questione di destino biologico ma di opportunità educative e sociali.

Se una bambina è incoraggiata a esplorare discipline STEM o a sviluppare il pensiero logico, il suo cervello si ‘adatterà’ a queste sollecitazioni. Al contrario, percorsi educativi diversi portano a reti neurali differenti. Il cervello si costruisce così in un dialogo costante con il contesto sociale, non in base a rigidi schemi sessuali.

Un dibattito scientifico in evoluzione

Il lavoro di Joel e altri come Lise Eliot, che ha evidenziato come molte differenze si riducano o scompaiano in ampi studi corretti per età e dimensioni cerebrali, ha acceso un confronto scientifico acceso. Alcuni studiosi, ad esempio Ruben Gur, riconoscono differenze funzionali medie tra uomini e donne, ma queste assomigliano più alle variazioni normali in altezza o peso che a categorie distinte di cervello. In ogni caso, il consenso emerge: le differenze cerebrali vanno considerate nella loro complessità senza binarismi semplicistici.

Impatti su educazione e salute

Superare il mito del cervello diviso a metà ha ripercussioni concrete. In ambito educativo, significa progettare ambienti che favoriscano l’inclusione, permettendo a bambine e bambini di sviluppare tutte le loro potenzialità senza essere confinati da stereotipi.

In clinica, richiede una lettura attenta delle differenze neuropsicologiche, senza attribuirgli un valore assoluto legato al sesso ma considerando il contesto individuale e culturale. Sul piano sociale, aiuta a smontare narrazioni storiche che hanno giustificato disuguaglianze di genere. In definitiva, la scienza ci invita a riconoscere il cervello umano come una mappa unica, dove biologia ed esperienza si intrecciano in modi irripetibili.