Le basi del rapporto
Nei SerD italiani mancano 1900 operatori
L’analisi, elaborata dalla Fondazione Gimbe insieme a Federserd, si fonda su dati ufficiali della "Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze 2025", sul "Rapporto OISED–CREA 2024" e sugli standard organizzativi definiti dal DM 77 sulla riforma dell’assistenza territoriale.
L’obiettivo è valutare la reale capacità del Servizio sanitario nazionale di rispondere ai bisogni delle persone con disturbi da dipendenza, misurando l’efficienza e la copertura dei servizi territoriali, la dotazione di personale e l’impatto clinico e sociale del fenomeno. La Fondazione ha incrociato le informazioni su organici, accessi ai pronto soccorso e ricoveri ospedalieri, disegnando un quadro dettagliato della rete SerD e delle criticità che la attraversano.
Servizi disomogenei e personale carente
In Italia l’assistenza alle persone con dipendenze patologiche rientra nei Livelli Essenziali di Assistenza, ma la rete è fragile e distribuita in modo diseguale.
Secondo il rapporto, sono attivi 198 servizi di primo livello, 1.134 ambulatoriali e 951 strutture residenziali e semiresidenziali. Tuttavia, la disponibilità varia enormemente da regione a regione: si passa da 5,4 strutture ogni 100mila abitanti in Valle d’Aosta a 0,7 in Sicilia, con intere aree del Sud ancora prive di presidi di prossimità.
La dotazione complessiva del personale conta 6.005 professionisti, ma per rispettare gli standard previsti dal DM 77 ne servirebbero almeno 7.860. All’appello mancano quindi 1.855 operatori tra medici, psicologi, educatori professionali, assistenti sociali e personale amministrativo.
Il dato più preoccupante riguarda la pressione sul personale: in media un operatore segue 24 pazienti, ma in Umbria, Marche e Lazio si superano i 30. Una situazione che compromette la continuità assistenziale e riduce la possibilità di una presa in carico personalizzata.
Un sistema a macchia di leopardo
Il rapporto descrive un’Italia divisa anche nella risposta alle dipendenze. In molte regioni del Mezzogiorno l’offerta è minima o assente: in Basilicata, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta non esiste alcun servizio di primo livello, mentre in Calabria, Campania e Puglia il tasso è appena di 0,1 strutture ogni 100mila abitanti, contro 1,8 in Alto Adige.
Questo significa che l’accesso ai servizi dipende ancora dal luogo in cui si vive, rendendo il diritto alla cura un privilegio territoriale.
Affrontare le dipendenze significa tutelare la salute pubblica, ma oggi i SerD sono il simbolo della disattenzione istituzionale verso un’area ad alta vulnerabilità
, ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. “Occorre riconoscerli come parte integrante dell’assistenza territoriale e potenziarli con investimenti strutturali e vincolanti”.
Un diritto a geometria variabile
Per la Fondazione Gimbe, il sistema delle dipendenze è la fotografia di un Servizio sanitario nazionale che procede a velocità diverse. Se al Nord le strutture riescono ancora a reggere la domanda, nel resto del Paese i SerD operano con organici ridotti e servizi discontinui. La mancata programmazione a livello centrale rischia di trasformare la cura delle dipendenze in un diritto a geometria variabile, accessibile solo a chi vive nelle regioni più organizzate.
Senza una pianificazione nazionale e investimenti strutturali, avverte Gimbe, i SerD resteranno presidi deboli, incapaci di intercettare precocemente i nuovi bisogni, soprattutto quelli dei giovani. La riorganizzazione dei servizi per le dipendenze non può più essere rimandata: è una questione di salute pubblica e di giustizia sociale.

