Un passo decisivo nella terapia cellulare pediatrica
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Lo studio di fase I/II, avviato nel 2018 e giunto ora all’analisi definitiva, ha coinvolto 54 pazienti e conferma quanto già anticipato nel 2023 sul New England Journal of Medicine.
Con un follow-up mediano superiore a quattro anni, la terapia ha indotto risposte durature e modificato in modo significativo la prognosi della malattia. In particolare, nei bambini trattati precocemente – con basso carico di malattia e poche linee terapeutiche alle spalle – la sopravvivenza a cinque anni si è avvicinata al 90%.
Epidemiologia e criticità cliniche
Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più frequente in età pediatrica e rappresenta circa il 7-10% di tutti i tumori infantili. In Italia si registrano ogni anno 120-130 nuove diagnosi, per lo più nei bambini sotto i 5 anni. Origina dai neuroblasti del sistema nervoso simpatico, localizzandosi spesso nelle ghiandole surrenali.
Nonostante protocolli multimodali sempre più intensivi, la prognosi delle forme ad alto rischio resta sfavorevole: la sopravvivenza con le terapie convenzionali non supera il 45-50% e scende al 10-15% in caso di recidiva. I risultati dello studio
Il trial ha arruolato 35 pazienti nella sperimentazione clinica e 19 in regime di esenzione ospedaliera. Tutti hanno ricevuto un’infusione di cellule CAR-T GD2 autologhe, geneticamente modificate per riconoscere e distruggere le cellule tumorali.
- Risposta globale: 67% dei pazienti
- Remissioni complete a sei mesi: 40%
- Risposta globale nei pazienti a basso carico di malattia: 77%
- Sopravvivenza a cinque anni nei trattati precocemente: fino al 90%
Un dato particolarmente significativo riguarda i pazienti i cui linfociti erano stati raccolti già alla diagnosi, prima dell’esposizione alla chemioterapia: in questa coorte la sopravvivenza globale a 5 anni ha raggiunto il 100%, con una sopravvivenza libera da eventi del 66,5%.
Dal lato sicurezza, il profilo è risultato favorevole: non sono stati osservati nuovi segnali di tossicità. I rari episodi di neurotossicità severa sono stati gestiti grazie al “gene suicida” iC9, che permette di interrompere selettivamente l’attività delle cellule CAR-T in caso di eventi avversi.
Implicazioni per la pratica clinica e prospettive future
Secondo Franco Locatelli, responsabile del Centro Studi Clinici Oncoematologici e Terapie Cellulari del Bambino Gesù, i dati confermano la possibilità di integrare le CAR-T GD2 nei percorsi standard di cura. L’avvio di uno studio multicentrico europeo di fase II, approvato dall’EMA, sarà cruciale per validare i risultati su scala più ampia e rendere la terapia disponibile in altri centri internazionali.
La ricerca è stata possibile grazie al sostegno di AIRC, Ministero della Salute, AIFA, Unione Europea e numerosi partner industriali e accademici.
La pubblicazione su Nature Medicine segna un traguardo decisivo nella lotta contro il neuroblastoma: l’evidenza che l’innovazione terapeutica, se applicata precocemente e in condizioni favorevoli, può modificare in profondità le prospettive di sopravvivenza e aprire la strada a un nuovo standard di cura.