Il progetto Humanitas: “Nanotechnology hunting the tumor”
"Nanotechnology hunting the tumor"
Dal 2020, nel laboratorio di Immunologia Molecolare di Humanitas diretto dal prof. Antonio Sica, è in corso il progetto “Nanotechnology hunting the tumor”, sostenuto da Fondazione Humanitas per la Ricerca e dall’associazione Medicine Rocks.
Affiancato dai ricercatori dell’Università di Milano e del Mario Negri, il team di Sica è impegnato a perfezionare nanoparticelle di nuova generazione: più stabili, più performanti nel trasporto del farmaco e capaci di riconoscere con maggiore precisione il tumore.
I principali traguardi raggiunti finora includono:
- due nuovi farmaci in fase di brevetto, potenzialmente efficaci su diversi tumori
- conferma della stabilità in nanoparticelle a formulazione lipidica
- sviluppo di protocolli per migliorare carico farmacologico e targeting selettivo verso il tessuto tumorale
Le linee di ricerca non si limitano allo sviluppo teorico: sono infatti in corso applicazioni precliniche su carcinoma polmonare, tumore del colon-retto e sarcomi dei tessuti molli, patologie di particolare impatto in età pediatrica e adolescenziale. Parallelamente, il gruppo concentra l’attenzione su neoplasie di prognosi particolarmente sfavorevole, come pancreas e ovaio, dove le opzioni terapeutiche attuali restano poco efficaci.
In questo contesto, l’uso delle nanoparticelle può rappresentare un cambio di paradigma rispetto ai protocolli convenzionali — chirurgia, radioterapia e chemioterapia — che, pur essendo standard di cura, sono spesso gravati da tossicità sistemica e da una scarsa specificità d’azione. Come sottolinea Sica, «questi limiti potranno essere superati attraverso nuove strategie di drug delivery, capaci di aumentare la selettività del farmaco, migliorare la risposta clinica e, soprattutto, la qualità di vita del paziente».
I benefici principali dell’approccio nanotecnologico sono infatti due: da un lato, la possibilità di rilasciare il farmaco in maniera preferenziale all’interno delle cellule tumorali, aumentando così la concentrazione terapeutica nella lesione; dall’altro, la riduzione della tossicità verso i tessuti sani.
Nonostante i progressi, resta però una sfida aperta: la selettività d’azione delle nanoparticelle, ancora non ottimale, che rappresenta oggi uno degli obiettivi prioritari della ricerca.
Stato dell’arte: dati dalla letteratura
La ricerca internazionale ha evidenziato diversi filoni di sviluppo nell’ambito delle nanoparticelle oncologiche.
Approccio | Descrizione |
Nanoparticelle targettate |
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Piattaforme multifunzionali |
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Microambiente tumorale (TME) |
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Applicazioni cliniche emergenti |
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Ad oggi alcune nanoparticelle sono già entrate nella pratica clinica oncologica. Tra queste i liposomi contenenti doxorubicina (Doxil®/Caelyx®, Myocet®, DaunoXome®), le formulazioni liposomiali di irinotecan (Onivyde®, esteso nel 2024 a prima linea nel carcinoma pancreatico), le micelle di paclitaxel legato ad albumina (Abraxane®), le combinazioni liposomiali daunorubicina/citarabina (Vyxeos®) e, in Europa, Mepact® (mifamurtide) e Hensify®(ossido di afnio).
Sul fronte diagnostico il panorama è più ristretto ma in crescita: Lymphoseek® (Tc-99m tilmanocept) per il mappaggio linfonodale e Magtrace® (nanoparticelle di ossido di ferro) per la biopsia del linfonodo sentinella rappresentano due esempi già approvati. Inoltre, il ferumoxytol, nato come terapia marziale, viene oggi impiegato off-label come mezzo di contrasto in risonanza magnetica, con buoni profili di sicurezza (Adams et al., 2022).
Questi esempi mostrano come la nanomedicina sia passata da una fase puramente sperimentale a una dimensione clinica concreta, aprendo la strada a terapie e tecniche diagnostiche sempre più selettive e tollerabili.
Il principale limite delle nanoparticelle resta la selettività d’azione: sebbene i progressi siano significativi, persiste il rischio che vengano assorbite da tessuti sani o dal sistema reticolo-endoteliale, riducendo l’accuratezza del trattamento. Per superare questa criticità, la ricerca sta puntando su nuove soluzioni: dal perfezionamento del targeting attivo, all’impiego di nanoparticelle stimolo-responsivi (capaci di attivarsi con luce, pH o enzimi), fino all’utilizzo di rivestimenti biomimetici in grado di eludere la risposta immunitaria.
La nanomedicina oncologica si conferma così una delle frontiere più promettenti della ricerca traslazionale. Il progetto Humanitas, inserito in un panorama scientifico globale, contribuisce a tracciare un percorso che unisce stabilità, capacità di carico e targeting molecolare, con l’ambizione di migliorare non solo la sopravvivenza, ma anche la qualità di vita dei pazienti. La sfida è ancora aperta, ma le evidenze degli ultimi anni indicano che il futuro dell’oncologia sarà sempre più guidato da terapie intelligenti e selettive.