Tempo di relazione e tempo di cura

Scritto il 16/05/2022
da Ivana Carpanelli

La legge 219/2017 promuove e valorizza la relazione di cura e di fiducia tra paziente e curanti, che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità di chi cura. Il codice deontologico dell’infermiere va oltre ed afferma che il tempo di relazione è tempo di cura. Siamo tutti fragili, curanti e curati, in mezzo alla malattia scopriamo le nostre vulnerabilità e il bisogno di tempo per l’altro, per riconoscersi nella necessità di un tempo di relazione reciproca. Ma non sempre è facile trovare il tempo e le parole per dirlo1.

A che punto siamo con il processo di umanizzazione della medicina

Che cosa significano oggi per noi curanti, ad oltre quarant’anni dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, espressioni come "alleanza terapeutica", "consenso informato", "dichiarazioni anticipate di trattamento"? Sono formule vuote, promesse non mantenute o strumenti che possono contribuire ad una effettiva partecipazione dei cittadini nelle decisioni “sanitarie” che li riguardano? È possibile umanizzare la medicina, far sì che il suo centro sia il riconoscimento reciproco tra stranieri morali?2

È possibile, riconoscendo l’altro e la comune vulnerabilità di esseri umani, recuperare quella fiducia necessaria sia per il malato che per il curante a salvaguardia della dignità di persona in ogni soggetto della cura, sia esso attore principale, “spalla” o semplicemente comparsa?

Bisogna tornare alla “Medicina della persona”. Per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per che cosa gioisce e soffre. Dobbiamo far parlare il paziente della sua vita, non dei suoi disturbi. Oggi le cure sono fatte con un manuale di cemento armato: “Lei ha questo, faccia questo; ha quest’altro, prenda quest’altro”. Ma così non è curare (Umberto Veronesi)

Il consenso informato – che dovrebbe sancire l’autonomia della persona nel processo di cura e costituire un’occasione di dialogo – spesso viene retrocesso a espediente della “medicina difensiva” – con cui il medico si tutela contro eventuali ricorsi da parte del malato. L’alleanza terapeutica assume un significato retorico se non viene intesa come vero e proprio patto per la salute, una relazione che comprenda il medico, l’infermiere, il malato e il suo ambito di vita, fortemente caratterizzata da uno scambio di saperi e di valori.

Le dichiarazioni anticipate di trattamento non nascono dall’idea di facilitare logiche di abbandono terapeutico; si propongono, invece, il delicato e complesso compito di rendere possibile un rapporto personale di fiducia tra medici, infermieri e malati proprio in quelle situazioni estreme in cui il dialogo sembra interrompersi.

È tristemente vero che la gestione istituzionale di questi temi e posizioni ideologiche precostituite possono limitare la libertà della relazione di cura e rischiano di condizionare i curanti nello svolgimento del loro compito: prendere decisioni cliniche ed assistenziali, alla fine come all’inizio della vita, ancorate alle migliori evidenze disponibili, bilanciando caso per caso i principi bioetici di autonomia, beneficenza, non maleficenza e giustizia, intesa anche come equa distribuzione delle risorse.

Si tratta di strumenti per una relazione di cura rispettosa dei valori, delle convinzioni e dei desideri della persona che abbia perso la capacità di esprimersi (caso del testamento biologico) o che - ad esempio nel caso dei neonati estremamente prematuri - assegni un ruolo significativo, nel processo decisionale, ai genitori come interpreti adeguatamente informati del miglior interesse dei figli.

Inevitabilmente, il processo di umanizzazione della medicina richiede una stretta condivisione tra équipe curante, malato e famiglia, al fine di migliorare la qualità dell’assistenza e della cura. In Francia, l’Espace Ethique de l’Assistance publique, creato e diretto da Emmanuel Hirsch, da diversi anni è luogo di scambio, di incontro e crescita, nel quale medici e infermieri si recano per riflettere sui valori alla base della loro azione. L’Espace Ethique… li invita a ripensare la loro pratica, a comprendere insieme ciò che li aiuto o li ostacola. In queste discussioni ognuno impara dall’altro, verificando o modificando le sue intuizioni. I partecipanti lavorano a partire da storie vissute.

A questa iniziativa si ispira la proposta del Comitato Nazionale per la Bioetica dello scorso 10 dicembre 2021 dal titolo “Vulnerabilità e cura nel welfare di comunità. Il ruolo dello spazio etico per un dibattito pubblico”, dove si definiscono le molteplici potenzialità applicative di un modello denominato “Spazio etico”, inteso come luogo di ascolto, di incontro e di scambio di esperienze di vita personali e professionali in cui dare voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano.

Il documento propone di creare un’effettiva sinergia sia all’interno dell’équipe curante sia col malato e i suoi familiari ed insiste sull’importanza della formazione etica e umanistica nelle Università e nelle scuole di specializzazione, sulla necessità di confronti interdisciplinari e con operatori di culture differenti.

L’aspetto più nuovo e importante sta nella parola "insieme"

Insieme medici e infermieri si impegnano a valorizzare la volontà delle persone che curano; insieme individuano i bisogni di cura e di assistenza tenendo conto delle preferenze delle persone; insieme contribuiscono a fare rispettare le volontà dei pazienti anche se espresse in maniera anticipata; insieme si impegnano a dare tutte le informazioni necessarie per rendere le persone "competenti"; insieme si prendono cura dei pazienti, della loro famiglia e amici rispettando il loro contesto sociale; insieme per sviluppare la capacità di essere con la sofferenza senza barriere.

Se vogliamo che l’alleanza terapeutica possa finalmente realizzarsi questa è la strada maestra da percorrere, insieme.