Quasi una professionista su due subisce aggressioni
La sicurezza degli operatori, e in particolare delle infermiere, è oggi una delle principali fragilità del Ssn.
La sanità è il settore con la più alta incidenza di violenza sul luogo di lavoro, e non solo nei Paesi a basso reddito o nei contesti di instabilità.
Una ricerca pubblicata su Frontiers in Public Health descrive un quadro drammatico: in media, il 45% delle professioniste sanitarie subisce almeno un episodio di aggressione, con punte che raggiungono quasi il 60% nei contesti più critici.
I dati raccolti da organismi internazionali come l’Oms e l’Ilo confermano la dimensione globale del problema. Secondo questi report, tra il 30% e il 70% degli operatori sanitari riferisce episodi di violenza fisica, psicologica o verbale; oltre un quarto ha subito aggressioni fisiche e più del 60% è stato vittima di intimidazioni o insulti.
Nei teatri di guerra o nei Paesi con sistemi sanitari instabili, queste percentuali sfiorano l’80–90%.
Si tratta di numeri che, da soli, raccontano una crisi culturale e organizzativa: luoghi nati per curare possono trasformarsi in spazi dove a essere feriti, troppo spesso, sono coloro che assistono.
Il caso italiano: 125mila aggressioni l’anno
In Italia la situazione non è meno preoccupante. La ricerca CEASE-it, coordinata dall’Università di Genova e integrata dai dati INAIL, stima 125mila aggressioni ogni anno contro gli infermieri, a fronte di soltanto 5mila denunce ufficiali.
Significa che 120mila episodi rimangono sommersi, senza alcun percorso di tutela o di giustizia. È un sommerso che pesa soprattutto sulle donne: oltre la metà dei casi riguarda personale femminile, confermando quella vulnerabilità strutturale evidenziata anche dagli studi internazionali.
Secondo Nursing Up, questa forbice tra aggressioni reali e denunce è il vero cuore del problema: senza dati completi, senza tracciabilità degli episodi e senza un sistema di risposta tempestivo, la violenza rimane un fenomeno normalizzato e inevitabile.
Perché le infermiere sono le più colpite
Le infermiere rappresentano la categoria più esposta. Non solo perché costituiscono numericamente la parte più ampia del personale sanitario, ma soprattutto per la natura del loro lavoro.
La prossimità continua al paziente, spesso in momenti di fragilità emotiva e clinica, le rende bersaglio immediato di tensioni e frustrazioni. Il loro ruolo, profondamente relazionale, viene talvolta percepito come una disponibilità senza limiti, capace di alimentare aspettative irrealistiche.
A questo si aggiungono gli stereotipi culturali di genere, che ancora oggi influenzano il modo in cui le donne vengono percepite nei contesti lavorativi, e la tendenza delle professioniste dei reparti psichiatrici a evitare la denuncia per proteggere i pazienti più vulnerabili.
È una vulnerabilità multifattoriale, che si colloca nell’intersezione tra funzioni assistenziali, cultura organizzativa e dinamiche sociali.
Misure immediate, non annunci
Per il sindacato, questa situazione non può più essere affrontata con interventi disomogenei o iniziative locali. Nursing Up sollecita un’azione nazionale, stabile e verificabile.
Chiede un Piano nazionale obbligatorio contro la violenza in sanità, con protocolli uniformi, percorsi standardizzati e responsabilità chiare. Propone l’istituzione di un registro digitale unico per raccogliere tutte le segnalazioni, comprese quelle che oggi non arrivano alle autorità.
Richiama inoltre la necessità di rafforzare gli organici, perché la solitudine professionale, soprattutto nei turni notturni, aumenta esponenzialmente il rischio di aggressioni.
Sottolinea l’urgenza di una formazione obbligatoria sulla gestione dell’aggressività, sulla de-escalation e sul rischio psichiatrico, oltre a un sistema che garantisca tutela psicologica e legale alle vittime. Infine, ribadisce l’importanza di campagne rivolte alla cittadinanza, per contrastare quella normalizzazione della violenza che ormai permea molti contesti sanitari.

