Il nodo dei dati regionali
Orazio Schillaci, Ministro della Salute
La legge prevede che i governi regionali trasmettano con cadenza trimestrale i dati relativi alle richieste di autorizzazione alla libera professione da parte del personale del comparto.
Tuttavia, il Ministero ha ricevuto finora informazioni frammentarie, spesso non omogenee e in alcuni casi completamente assenti.
Senza un monitoraggio coerente, è impossibile comprendere quale sia l’effettiva portata del fenomeno: quante domande vengono presentate, quante autorizzate, quali figure professionali sono maggiormente interessate e quali effetti la libera professione stia producendo sulle attività istituzionali.
L’unico elemento emerso con una certa chiarezza riguarda la prevalenza di richieste provenienti da infermieri e da alcune professioni riabilitative, ma si tratta comunque di un quadro incompleto.
Questa incertezza rende difficile assumere decisioni in modo consapevole. Per questo il Ministero ritiene necessario un anno aggiuntivo per completare la raccolta dei dati e valutare l’impatto reale di un regime che, per la prima volta, ha esteso anche al personale del comparto strumenti tradizionalmente riservati alla dirigenza medica.
Personale insufficiente e domanda crescente
Alla necessità di una valutazione basata sui numeri si aggiunge un secondo fattore: la difficile condizione del Ssn. Gli organici sono insufficienti, i carichi di lavoro aumentano e le strutture fanno fatica a garantire i livelli essenziali di assistenza, soprattutto nelle aree più fragili del Paese. In questo contesto, prorogare la possibilità di svolgere attività aggiuntive autorizzate può contribuire, almeno in parte, a sostenere servizi già sotto pressione.
Il rinvio viene letto quindi come una misura di buon senso: un modo per non privare le aziende sanitarie di una risorsa operativa in una fase in cui ogni ora lavoro disponibile può fare la differenza tra tenuta e collasso dei servizi. Ma la proroga non risolve la questione strutturale: senza un investimento sul personale, nessun meccanismo regolatorio potrà colmare il divario tra domanda e offerta.
Il caso Campania e i ritardi sul PNRR
Il tema del personale si intreccia inevitabilmente con quello dell’assistenza territoriale. Rispondendo a un’interrogazione sui ritardi della Campania nell’attuazione del PNRR, Schillaci ha parlato apertamente di una situazione “gravissima”, richiamando la Regione ai propri obblighi.
L’aggiornamento fornito da Agenas è chiaro: nessuna delle Case della Comunità previste risulta operativa e solo un Ospedale di Comunità è attivo. È un quadro che rischia di paralizzare il territorio, costringendo i cittadini a rivolgersi ai Pronto soccorso per bisogni che dovrebbero trovare risposta altrove. Se la situazione non dovesse sbloccarsi, il Ministero non esclude di ricorrere ai poteri sostitutivi.
La mancanza di strutture territoriali, secondo Schillaci, pesa direttamente su infermieri e professionisti dell’emergenza, costretti a gestire un afflusso continuo e non filtrato. Anche per questo, sottolinea il ministro, ogni scelta deve essere valutata con attenzione, evitando ulteriori ripercussioni sul personale.
Pubblico e privato: un equilibrio da preservare
Un passaggio del dibattito ha riguardato il rischio di un eccessivo affidamento al privato accreditato. Il ministro ha negato qualsiasi deriva privatistica, ribadendo che il Ssn rimane il baricentro dell’assistenza e che l’apporto del privato deve essere complementare e regolato.
Il tema della libera professione si inserisce proprio in questa cornice: secondo il Ministero, non va letta come uno strumento di esternalizzazione, ma come un mezzo temporaneo per rispondere alla domanda di cura, sempre sotto il controllo delle aziende sanitarie.
Quali prospettive apre agli infermieri
Per gli infermieri, il possibile rinvio del vincolo di esclusività rappresenta un passaggio non privo di conseguenze. Da un lato garantisce continuità rispetto a un modello appena avviato, lasciando aperta la possibilità di svolgere attività aggiuntive autorizzate. Dall’altro offre più tempo per discutere regole chiare, parametri omogenei e un sistema di valutazione capace di misurare l’impatto sulla qualità dell’assistenza e sul benessere professionale.
La vera sfida, però, resta quella più ampia: valorizzare la professione infermieristica in termini economici e organizzativi, stabilizzare gli organici e ridurre i carichi di lavoro. Senza un investimento strutturale, ogni misura correttiva rischia di essere temporanea. Il rinvio del vincolo non è la soluzione, ma una pausa necessaria per decidere con dati certi e con una visione più ampia del futuro della professione.

