La proposta di un “liceo infermieristico abilitante” riaccende il dibattito sul futuro della professione. In un sistema già provato da carenze croniche di personale e da un crescente squilibrio formativo tra medici e infermieri, l’idea di riportare la formazione sanitaria alle scuole superiori rischia di rappresentare non una soluzione, ma un ulteriore passo indietro.
La deriva formativa e lo squilibrio del sistema sanitario L’assistenza e le cure nel mondo contemporaneo si basano su gruppi multiprofessionali dove l’infermiere non è l’assistente del medico ma un professionista autonomo.
La professione infermieristica continua a essere sistematicamente svilita. Stipendi da fame, turni massacranti, zero progressioni di carriera, violenza quotidiana nei pronto soccorso.
La proposta di creare un “liceo infermieristico abilitante ” del Senatore Garavaglia rappresenta l’ennesima dimostrazione di come talvolta segmenti della politica italiana non comprendano appieno la crisi strutturale del nostro sistema sanitario.
Non è abbassando la formazione infermieristica al livello delle scuole superiori che risolveremo il problema, ma affrontando finalmente il paradosso tutto italiano di un sistema che produce medici in eccesso (sia in generale che in talune specializzazioni) mentre lascia morire la professione infermieristica.
I numeri parlano chiaro e sono imbarazzanti: l’Italia è tra i pochissimi paesi al mondo dove si laureano più medici che infermieri, forse l’unico.
Quest’anno con la deregulation di accesso a Medicina ci saranno oltre 24mila medici (rispetto agli oltre 54mila iscritti al semestre filtro) in ingresso in formazione e molti meno di 20.000 infermieri pianificati (rimasti ancora al numero chiuso e con molte università con meno concorrenti rispetto ai posti disponibili), quando il fabbisogno reale di infermieri supera le 30mila unità annue solo per coprire a malapena il turnover.
La formazione infermieristica resta drammaticamente sottodimensionata. Il confronto internazionale è umiliante: in Italia abbiamo 1,3 infermieri per ogni medico , mentre la media europea è di 2,7 e paesi come Norvegia e Svizzera superano il rapporto di 4 a 1.
Il risultato? Una carenza strutturale di almeno 150mila infermieri che paralizza ospedali e territori (vedi grafico). I dati sotto parlano da soli: la differenza con gli altri Paesi Europei è talmente significativa ed abnorme da apparire per certi versi irreale.
Purtroppo, questi dati vengono sistematicamente ignorati, anche da segmenti della nostra stessa professione ed accade esattamente l’opposto di ciò che servirebbe.
Invece di correggere lo squilibrio, continuano ad aumentare - con record superati anno per anno - i posti nelle facoltà di Medicina, sia per il corso di laurea che per le specializzazioni, senza alcun dato che giustifichi questa espansione. Nel frattempo, i posti per infermieristica restano drammaticamente insufficienti. Questa scelta va in netta controtendenza rispetto alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unione Europea, che chiedono un forte investimento proprio nella formazione infermieristica per rispondere ai reali bisogni dei cittadini.
Siamo l’anomalia d’Europa (e non solo) con una delle più alte densità di medici pro-capite ma incapaci di garantire un’assistenza sia medica che infermieristica adeguata. Questo squilibrio non è casuale, ma frutto di numerose aspetti di incoerenza a partire da politiche normative e contrattuali anomale e delle differenze regionali nelle capacità di assorbimento del personale. L’investimento massivo nella formazione e nell’incentivazione della dirigenza medica (anche nella prossima finanziaria) appare sempre e sistematicamente prioritaria rispetto all’area infermieristica.
L’affermazione del Senatore Garavaglia che “chi studia tanto per fare l’infermiere preferirà diventare medico” rivela una concezione gerarchica e antiquata delle professioni sanitarie.
Infermieristica e medicina non sono gradini diversi della stessa scala ma professioni complementari con missioni specifiche. L’assistenza e le cure nel mondo contemporaneo si basano su gruppi multiprofessionali dove l’infermiere non è l’assistente del medico ma un professionista autonomo, con una propria formazione tutta all’interno dell’Università: dall’infermiere generalista, all’infermiere specialista, all’infermiere con competenze cliniche avanzate.
Retrocedere la formazione alle superiori significherebbe tornare indietro di 30 anni, proprio mentre il resto d’Europa rafforza i percorsi universitari e crea percorsi post-laurea sempre più avanzati e utili ad amplificare l’accesso alle cure per i cittadini (vedi prescrizione infermieristica farmacologica, infermiere anestesista, etc).
La verità che non si vuole ammettere è che gli infermieri non mancano perché la laurea è “troppo difficile” ma perché la professione è stata sistematicamente svilita. Stipendi da fame, turni massacranti, zero progressioni di carriera, violenza quotidiana nei pronto soccorso : questo è ciò che allontana i giovani dalla professione. Oltre ad una formazione che continua ad essere ingabbiata nelle dinamiche universitarie delle facoltà a dominanza medica.
Creare figure di ‘assistenti infermieri ’ a livello liceale o meno – che già nell’attuale conformazione rappresentano una figura ibrida e anacronistica, con numerose difficoltà di attuazione pratica (anche per seri problemi connessi alle lacune rispetto alla responsabilità professionale) – non risolverà nulla, anzi frammenterà ulteriormente il sistema creando confusione nei ruoli e compromettendo in forma grave la sicurezza dei pazienti. Tra l’altro questa figura è già oggetto di ricorso al TAR e di prossima richiesta di un formal complain europeo. Oltre a palesare plasticamente la considerazione che si ha degli infermieri e la volontà di pagare meno e formare ancora meno. La vita di più cittadini è a rischio se si procedere con questi tentativi di abbassare il livello di competenza dell’assistenza.
Su questo aspetto, alcune risposte alle dichiarazioni del Senatore Garavaglia, appaiono oggi come un esercizio di ipocrisia istituzionale che stridono con i fatti realmente avvenuti. Non si può ergersi a paladini delle università e delle specializzazioni quando si è sostenuto e promosso la figura dell’assistente infermiere, contribuendo a far passare queste particolari ideazioni, oltre che alimentare la frammentazione del sistema assistenziale e la creazione di ambiguità nei ruoli professionali e al ricorso al TAR in atto.
Chi dice di seguire vie maestre, peraltro poco o per niente condivisibili e slegate al contesto evolutivo professionale, dovrebbe fare autocritica rispetto al suo sostegno a figure ibride che hanno minato proprio quel percorso di crescita e valorizzazione professionale che oggi, con sorprendente amnesia istituzionale, dice di voler difendere.
La proposta di formare personale italiano (con bassa formazione e bassi salari) anziché ricorrere a professionisti stranieri nasconde una contraddizione evidente: se davvero vogliamo professionisti competenti che garantiscano standard elevati di assistenza cura, dovremmo investire di più nella formazione universitaria, non meno. Paradossalmente, mentre si propone di abbassare il livello formativo per gli italiani, esistono deroghe che consentono a personale straniero di lavorare senza il riconoscimento dei titoli e senza l’abilitazione professionale ordinistica.
L’assistenza sanitaria moderna richiede competenze sempre più complesse in farmacologia, tecnologie biomediche, gestione delle cronicità, non certo le nozioni basiche di un diploma. Il paradosso finale, si ribadisce, è che mentre lamentiamo la carenza di infermieri, continuiamo a produrre medici che il sistema non riuscirà nel breve ad assorbire, creando ulteriori sacche di precariato e frustrazione anche tra i neolaureati in medicina.
Invece di correggere questo squilibrio strutturale riallineando gli investimenti formativi alle reali necessità del sistema, la proposta di Garavaglia aggraverà se portata avanti il problema dequalificando ulteriormente una professione già in crisi.
La strada da percorrere è opposta: aumentare drasticamente i posti nei corsi di laurea in infermieristica, migliorare le condizioni lavorative e retributive, creare percorsi di carriera chiari con ruoli di pratica specialistica ed avanzata. Il reclutamento, l’attrattività e il mantenimento in servizio con soddisfazione del personale sono due facce della stessa medaglia. Solo in questo modo potremo colmare il deficit di personale senza compromettere la qualità dell’assistenza.
Ma questo richiede il coraggio di ammettere che per decenni abbiamo sbagliato molto nella programmazione delle professioni sanitarie, investendo malamente e con squilibri ora evidenti nella formazione medica, mentre lasciavamo morire quella infermieristica e non solo.
Un errore che oggi paghiamo con ospedali al collasso e pazienti abbandonati.
Scritto da Walter De Caro , presidente CNAI -Italian National Nurses Association