Obesità: nuove evidenze e sfide cliniche tra corpo e mente

Scritto il 03/10/2025
da Chiara Sideri

Riconosciuta dal Senato come patologia cronica, l’obesità emerge oggi come una condizione complessa, multifattoriale e multisistemica, che richiede un approccio integrato, fisico e psicologico. Le ultime evidenze scientifiche ridefiniscono i criteri diagnostici, superano i limiti del BMI e aprono la strada a terapie personalizzate e multidisciplinari.

Un cambiamento di paradigma

obesità

L'obesità è stata riconosciuta malattia croncia dal Senato

Con l’approvazione definitiva in Senato del disegno di legge che riconosce l’obesità come malattia cronica, anche l’Italia compie un passo decisivo verso un approccio sistemico alla patologia. Non più una mera questione estetica o di forza di volontà, ma una condizione cronica, recidivante e ad elevato impatto sociosanitario.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oltre un miliardo di persone nel mondo convivano oggi con obesità, e che entro il 2030 questa cifra sia destinata a superare 1,1 miliardi di adulti. Il trend, in crescita costante dal 1990, interessa anche l’Europa e l’Italia, dove le disuguaglianze territoriali e socioeconomiche contribuiscono a una distribuzione disomogenea della prevalenza, con valori più elevati nelle regioni del Centro-Sud e tra le fasce di popolazione a minor reddito.

Si tratta di una vera e propria pandemia silente, che impone una revisione profonda delle strategie di prevenzione e cura, nonché una maggiore integrazione tra dimensione biologica e dimensione psicologica della persona.

Oltre il BMI: verso una nuova definizione di obesità

Per decenni l’indice di massa corporea (BMI) ha rappresentato il principale strumento di classificazione del peso corporeo. Tuttavia, la letteratura più recente ne mette in luce limiti significativi: il BMI non distingue tra massa magra e massa grassa, né tiene conto della distribuzione del tessuto adiposo o delle differenze etniche e di genere.

Una commissione globale di esperti ha recentemente proposto una revisione della definizione di obesità, orientata a criteri clinici e funzionali piuttosto che meramente antropometrici. Secondo questa prospettiva, l’obesità va identificata non solo in base al peso, ma in relazione alla presenza di danno metabolico, infiammatorio o strutturale associato.

Questo cambio di paradigma implica che una parte della popolazione attualmente classificata come “obesa” possa non esserlo in senso clinico, mentre individui con BMI normale ma con alterazioni metaboliche potrebbero essere considerati affetti da obesità. Un approccio più sfumato, che valorizza la complessità biologica e clinica della malattia, migliorando la precisione diagnostica e la personalizzazione delle cure.

Un disturbo multisistemico

L’obesità è oggi riconosciuta come una malattia cronica, recidivante e multisistemica, caratterizzata da un eccesso di tessuto adiposo e da una complessa disfunzione metabolica. Il tessuto adiposo, lungi dall’essere un mero deposito energetico, agisce come un organo endocrino attivo, in grado di secernere citochine pro-infiammatorie (adipokine) che promuovono insulino-resistenza, stress ossidativo e infiammazione cronica di basso grado.

Queste alterazioni concorrono allo sviluppo di numerose comorbidità: diabete mellito di tipo 2, ipertensione arteriosa, cardiopatie ischemiche, ictus, apnee notturne, steatosi epatica non alcolica, osteoartrite, infertilità, disturbi ormonali, fino ad aumentare il rischio di diverse neoplasie, tra cui mammella, colon-retto, endometrio e fegato.

Le ricerche più recenti approfondiscono anche i meccanismi neuroendocrini e immunometabolici che regolano la fame, la sazietà e il dispendio energetico, suggerendo l’esistenza di un “set point” metabolico che tende a mantenere costante il peso corporeo nel tempo, rendendo complessa la perdita di peso duratura.

In questa cornice, assumono rilievo crescente i fattori ambientali (cibo ultraprocessato, ridotta attività fisica), epigenetici (esposizione prenatale e infantile) e microbiotici, che contribuiscono a determinare la suscettibilità individuale all’obesità.

Il ruolo dei fattori epigenetici e dell’ambiente precoce

Le più recenti evidenze scientifiche confermano che le origini dell’obesità si radicano anche nelle prime fasi della vita, in un dialogo costante tra genetica, ambiente e comportamenti. Gli effetti epigenetici – modificazioni dell’espressione genica non legate a variazioni del DNA ma influenzate da stimoli esterni – svolgono un ruolo cruciale nella predisposizione alla malattia.

Condizioni come malnutrizione materna, diabete gestazionale, fumo in gravidanza, esposizione a interferenti endocrini (come bisfenolo A e ftalati) e stress materno cronico possono alterare i meccanismi epigenetici del feto, modulando la regolazione dell’appetito, del metabolismo energetico e dell’accumulo adiposo.

Analogamente, nei primi mille giorni di vita, un’alimentazione ipercalorica o povera di nutrienti, la mancanza di allattamento al seno, l’introduzione precoce di zuccheri e la ridotta attività fisica possono consolidare pattern metabolici “obesogeni” difficili da invertire in età adulta.

In questa cornice, assumono rilievo crescente anche altri fattori ambientali e comportamentali , ad esempio il consumo di cibi ultraprocessati, lo stress cronico, l’alterazione dei ritmi circadiani, il sonno insufficiente, i fattori socioeconomici e le disbiosi del microbiota intestinale, che concorrono a determinare la suscettibilità individuale all’obesità e la risposta ai trattamenti.

Queste evidenze sostengono l’importanza di un approccio life-course, che promuova la prevenzione dell’obesità fin dal periodo prenatale e infantile, con interventi mirati su salute materna, nutrizione, stili di vita e ambienti di crescitafavorevoli.

Corpo e mente: l’altra metà della patologia

Non esistono confini netti tra obesità fisica e obesità psicologica. L’evidenza clinica mostra una relazione bidirezionale tra obesità e disturbi dell’umore: la depressione e l’ansia aumentano il rischio di obesità, e viceversa. I meccanismi alla base di questa interazione includono alterazioni neuroinfiammatorie, disregolazione dello stress, comportamenti alimentari disfunzionali (binge eating, emotional eating) e riduzione della motivazione all’attività fisica.

Le donne, in particolare, sembrano più vulnerabili all’impatto emotivo e sociale dell’obesità, anche a causa di stereotipi culturali e stigma interiorizzato. Quest’ultimo rappresenta un fattore di rischio indipendente, in grado di compromettere l’autostima, l’aderenza terapeutica e la ricerca di aiuto.

Per questo, la presa in carico deve includere un sostegno psicologico strutturato: percorsi di psicoterapia cognitivo-comportamentale, training motivazionale, gruppi di supporto e interventi educativi mirati possono migliorare la consapevolezza alimentare e la gestione delle emozioni, potenziando l’efficacia dei programmi nutrizionali e riabilitativi.

Dalla dieta alla terapia integrata

Il trattamento dell’obesità deve essere concepito come percorso multidisciplinare, che integri interventi comportamentali, nutrizionali, farmacologici e, nei casi più gravi, chirurgici.

Le modifiche dello stile di vita, alimentazione equilibrata, attività fisica regolare, educazione comportamentale, restano il cardine della terapia, ma la sola dieta raramente risulta sufficiente a lungo termine. Gli approcci più efficaci sono quelli personalizzati, basati su piani nutrizionali sostenibili, esercizio fisico adattato e supporto psicologico continuativo.

Sul fronte farmacologico, l’innovazione è rapida: accanto a molecole consolidate (naltrexone- bupropione, orlistat), si affermano i nuovi agonisti del recettore GLP-1, che mostrano risultati promettenti nella riduzione del peso corporeo e nel miglioramento dei parametri metabolici. Tuttavia, l’accessibilità economica e la sostenibilità del trattamento rappresentano ancora un limite per molti pazienti.

La chirurgia bariatrica mantiene un ruolo fondamentale nelle forme severe o refrattarie, ma deve essere inserita in un percorso di valutazione e follow-up che coinvolga diversi specialisti, includendo quindi il monitoraggio nutrizionale, metabolico e psicologico a lungo termine.

Stigma, disuguaglianze e diritto alla cura

Lo stigma associato all’obesità rimane una delle principali barriere all’accesso ai trattamenti. Le persone con obesità riferiscono frequentemente esperienze di discriminazione nei contesti sanitari, scolastici e lavorativi, con conseguenze negative sulla salute mentale e sull’aderenza terapeutica.

Affrontare l’obesità significa quindi anche combattere lo stigma, promuovendo un linguaggio rispettoso, privo di giudizi, e una cultura della salute basata sull’inclusione e sull’empatia.

Le disuguaglianze socioeconomiche amplificano ulteriormente il rischio: reddito basso, scarsa alfabetizzazione sanitaria, contesti alimentari obesogenici e ridotte opportunità di attività fisica rappresentano fattori determinanti. Per contrastarli sono necessarie politiche pubbliche integrate: tassazione delle bevande zuccherate, regolamentazione del marketing alimentare ai minori, etichettature chiare e iniziative educative a partire dalle scuole.

Il riconoscimento legislativo dell’obesità come malattia cronica apre la strada a nuovi diritti: accesso garantito ai percorsi diagnostico-terapeutici, rimborsabilità dei farmaci, potenziamento della rete territoriale e formazione specifica dei professionisti sanitari.

L’obesità è una malattia complessa, cronica e multifattoriale, che intreccia dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. Le nuove evidenze scientifiche ci invitano a superare una visione riduzionista, centrata esclusivamente sul peso, per abbracciare un modello biopsicosociale che riconosca l’individuo nella sua interezza.