Lavoro notturno e sicurezza stradale: un’emergenza silenziosa per gli operatori sanitari

Scritto il 02/10/2025
da Chiara Sideri

Ogni anno migliaia di incidenti stradali sono attribuiti alla sonnolenza al volante, una condizione che, secondo la AAA Foundation for Traffic Safety, rende la guida con meno di cinque ore di sonno fino a cinque volte più rischiosa. Un dato che pesa in modo particolare sul personale sanitario, costretto a turni notturni e irregolari. Per un infermiere, il pericolo non termina con la consegna del turno: inizia nel momento in cui sale in auto per tornare a casa. Dopo ore trascorse in reparto, tra emergenze, monitoraggi e decisioni complesse, la concentrazione cala, la vista si appanna e anche un tragitto abituale può trasformarsi in un percorso a rischio. È una realtà silenziosa, ma quotidiana, che riguarda migliaia di professionisti della salute.

Sindrome del turnista: oltre il sonno frammentato

guida notturna

Gli studi italiani dimostrano che le rotazioni antiorarie, come la sequenza pomeriggio-mattina-notte, espongono gli infermieri a una sonnolenza marcata e a un affaticamento più intenso rispetto a rotazioni lineari.

Il lavoro a turni, soprattutto se notturni o irregolari, è strettamente collegato alla Shift Work Sleep Disorder (SWSD), una condizione caratterizzata da insonnia persistente, sonnolenza diurna e difficoltà di concentrazione. Non si tratta di un semplice disagio passeggero, ma di un disturbo riconosciuto dalla comunità scientifica, con conseguenze che investono la salute cardiovascolare, metabolica e psichica.

Gli effetti a lungo termine sono ormai ben documentati: aumento del rischio di sindrome metabolica, maggiore incidenza di ansia e depressione, peggioramento delle capacità cognitive e incremento degli incidenti sul lavoro.

Eppure, c’è un aspetto che resta spesso in secondo piano: la pericolosità della guida dopo il turno notturno. Per molti professionisti della salute, la vera sfida non si conclude in reparto, ma inizia al momento di salire in auto per tornare a casa, quando l’organismo, privato del riposo fisiologico, non è più in grado di garantire la prontezza necessaria alla guida.

Quando il sistema amplifica il rischio

La struttura dei turni ha un impatto diretto non solo sulla qualità del lavoro in corsia, ma anche sulla sicurezza al di fuori dell’ospedale. Gli studi italiani dimostrano che le rotazioni antiorarie, come la sequenza pomeriggio-mattina-notte, espongono gli infermieri a una sonnolenza marcata e a un affaticamento più intenso rispetto a rotazioni lineari. Questo si traduce in un aumento degli errori clinici e, soprattutto, in un rischio più elevato di incidenti stradali al termine del turno.

A complicare il quadro vi sono i turni da 12 ore, sempre più diffusi nei reparti di emergenza e terapia intensiva. Se da un lato permettono di concentrare le giornate di lavoro garantendo più riposi settimanali, dall’altro generano una fatica cumulativa che si estende oltre la fine dell’orario. Il recupero richiede tempi più lunghi e, se non adeguato, accresce la probabilità di sonnolenza alla guida.

Il quadro normativo italiano (D.Lgs. 66/2003) prevede tutele precise: massimo 8 ore notturne in media nelle 24 ore, almeno 24 ore di riposo settimanale e indennità specifiche per i turnisti. Tuttavia, la realtà organizzativa dei reparti spesso deroga a questi principi, costringendo gli operatori a turnazioni complesse e poco fisiologiche. In questo scenario, il professionista sanitario rimane solo nella gestione dei rischi legati alla fatica, esposto a conseguenze che vanno ben oltre l’ambiente di lavoro.

Prevenzione e tutela

Affrontare i rischi del lavoro a turni significa intervenire sia sul piano organizzativo che su quello individuale. A livello di sistema, la priorità dovrebbe essere quella di limitare le rotazioni antiorarie e contenere il numero di notti consecutive, favorendo invece schemi lineari e più rispettosi dei ritmi circadiani. Allo stesso modo, è fondamentale inserire pause regolari durante il turno e promuovere una programmazione che eviti orari eccessivamente precoci o prolungati oltre le 12 ore, se non in condizioni strettamente necessarie.

Sul piano pratico, diverse aziende sanitarie internazionali hanno introdotto soluzioni concrete: dal trasporto condiviso o navette aziendali per il rientro post-turno, fino all’istituzione di aree di riposo dove gli operatori possano recuperare anche solo 15–20 minuti prima di mettersi alla guida. Questi micro-sonni, dimostrati efficaci dalla letteratura, possono fare la differenza tra un viaggio sicuro e un incidente.

Anche la formazione gioca un ruolo cruciale: sensibilizzare i professionisti sul drowsy driving, spiegando che guidare dopo un turno notturno equivale, per riflessi e prontezza, a guidare in stato di ebbrezza, significa renderli consapevoli di un pericolo troppo spesso sottovalutato.

In definitiva, prevenire la fatica e la sonnolenza alla guida non è una responsabilità che può ricadere solo sul singolo professionista: si tratta di una sfida organizzativa, culturale e istituzionale, che deve mettere al centro la sicurezza degli operatori e, di riflesso, quella della collettività.