Infermiera in scenari di guerra dal 2019, Eleonora Colpo ha vissuto la devastazione dell’Afghanistan e dell’Ucraina. Ma è nella Striscia di Gaza che ha trovato la missione più dura: “Fame, distruzione, disumanità” sono le parole con cui descrive l’emergenza umanitaria in corso. Dalla sua testimonianza emerge un racconto crudo e umano, che ci costringe a guardare negli occhi la sofferenza della popolazione civile e lo sforzo quotidiano degli operatori sanitari, palestinesi e internazionali.
Una catastrofe umanitaria senza precedenti
Eleonora Colpo, infermiera di Emergency
Fame, distruzione, disumanità : sono queste le parole con cui Eleonora Colpo , infermiera di Emergency, sintetizza ciò che sta vivendo la popolazione civile nella Striscia. Una realtà che lei stessa ha definito «una catastrofe umanitaria», dove due milioni di persone sono intrappolate in una terra minuscola, senza possibilità di fuga e senza accesso costante ad aiuti e medicinali.
La sua esperienza internazionale nei contesti di guerra è vasta: ha iniziato con Emergency nel 2019, nella valle dell’Hindukush, in Afghanistan, dove è rimasta per quattro anni. Poi la missione in Donetsk, in Ucraina, e infine Gaza. Ma è proprio qui che ha incontrato il livello più alto di devastazione: «Ovunque si guarda, a Gaza si vedono case ed edifici distrutti e tende dove vive la popolazione», racconta.
Rispetto ad altri teatri di guerra, Gaza è un’enclave isolata: «In Afghanistan e in Ucraina si riusciva a spostarsi, a far arrivare aiuti. A Gaza no. Non entra nulla in maniera strutturata da mesi». La popolazione, rinchiusa e bombardata, vive in condizioni disumane.
A colpire l’infermiera sono anche le continue violazioni del diritto internazionale umanitario . L'infermiera ha descritto ciò che la popolazione della Striscia sta vivendo con tre parole forti e dirette:
Direi sicuramente fame , perché è la prima cosa che mi viene in mente. Direi distruzione , perché è quello che si vede tutti i giorni, e disumanità , perché è disumano quello che sta succedendo alla popolazione civile all’interno della Striscia.
L’orrore non è solo nelle bombe, ma anche nelle storie dei pazienti, nei volti dei colleghi palestinesi: «Mi ricordo per esempio una telefonata di un collega. Mi ha chiamato alle sei di mattina per scusarsi, mi ha detto: “Il mio quartiere è circondato, stanno bombardando comunque, quindi non riesco a uscire in sicurezza”. Io non auguro a nessuno di ricevere una telefonata del genere da un collega, e non sapere neanche se sia l’ultima telefonata».
La capacità di resistenza degli operatori sanitari locali è per Colpo fonte di ispirazione: lavorano in condizioni estenuanti, sotto bombardamenti, e la sera tornano a dormire in tende, ma giorno dopo giorno ci mettono un impegno per aiutare la popolazione che è veramente ammirevole .
“Gaza ti rimane addosso per sempre” Il ritorno in Italia è stato un passaggio difficile. Sono entrata in un supermercato l’altro giorno e mi ha fatto davvero impressione vedere la disponibilità infinita di cibo e di materiale che abbiamo , racconta. Un contrasto che evidenzia l’ingiustizia della condizione a cui è condannata la popolazione di Gaza: Io ho la possibilità di tornare qui e di stare tranquilla, invece ci sono due milioni di persone che sono là dentro e non hanno questa possibilità .
A Gaza, Eleonora Colpo ha vissuto momenti durissimi, anche dal punto di vista professionale: Ci sono stati parecchi momenti in cui ho pensato di non farcela, non solo io come persona, ma come infermiera , dice. Quando le scorte iniziavano a terminare, l’unica cosa possibile era andare avanti, per i pazienti e per la popolazione. Anche se sapevamo che non potevamo più rispondere al 100% ai bisogni, l’unica soluzione era andare avanti e provare a dare quel poco che ancora ci restava .
Il futuro della missione è incerto. Lei stessa spera di tornare in autunno, ma tutto è appeso a un filo: «Il progetto va avanti finché ci sarà anche un solo farmaco da distribuire, noi saremo lì».
Un appello silenzioso ma potente Il racconto di Eleonora Colpo è un invito alla consapevolezza e la voce di chi ci lavora ogni giorno al fianco della popolazione della Striscia è un segnale che non può essere ignorato.
Credo che mi rimarrà addosso per sempre quello che ho visto nella popolazione, le storie purtroppo più drammatiche di pazienti che abbiamo incontrato.
Ma più di tutto, si porterà dietro il volto dei colleghi infermieri palestinesi : figure che ogni giorno, con dignità e determinazione, lottano per continuare a curare, in un contesto dove curare non è scontato.