Entro il 2030 in Europa potrebbero mancare quasi un milione di operatori sanitari. Lo rivela il nuovo rapporto dell’Oms, che fotografa una crescita esponenziale della migrazione di medici e infermieri. L’Irlanda resta il Paese più dipendente dal personale formato all’estero, mentre l’Italia vive una condizione peculiare: continua a perdere professionisti verso Nord, ma allo stesso tempo attira infermieri dall’Est Europa.
Una mobilità in aumento costante L'Oms stima che entro il 2030 la Regione europea si troverà ad affrontare una carenza di circa 950mila operatori sanitari.
Tra il 2014 e il 2023 il numero complessivo di professionisti sanitari che esercitano in un Paese diverso da quello in cui si sono formati è cresciuto in maniera significativa: +58% per i medici e +67% per gli infermieri .
Anche i flussi annui, cioè gli ingressi registrati ogni anno nei sistemi sanitari nazionali, sono aumentati sensibilmente: in dieci anni gli arrivi di medici sono quasi triplicati, mentre quelli degli infermieri sono addirittura quintuplicati. In altre parole, sempre più Paesi si affidano a personale formato all’estero per coprire i propri fabbisogni .
Non si tratta solo di numeri. Come sottolinea l’OMS, dietro ogni professionista che si sposta c’è un impatto concreto sui Paesi di origine, che perdono risorse umane preziose, e su quelli di destinazione, che colmano i propri vuoti ma aumentano la dipendenza dall’estero.
I Paesi che attraggono e quelli che si svuotano Il fenomeno non riguarda soltanto l’arrivo di personale extraeuropeo. L’analisi evidenzia che oltre la metà dei medici e più del 60% degli infermieri migranti provengono da altri Paesi europei .
Il quadro che emerge è quello di un’Europa “a due velocità”: a Ovest e Nord (Germania, Regno Unito, Irlanda, Paesi scandinavi) si concentra la capacità di attrazione, mentre Est e Sud continuano a registrare perdite importanti. Alcuni Paesi, come l’Irlanda, hanno costruito intere fette della loro forza lavoro sanitaria grazie alla migrazione: oltre il 40% dei medici e più della metà degli infermieri vi si sono formati all’estero.
Modelli di mobilità sempre più complessi Il rapporto sfata anche l’idea di un flusso unidirezionale da Sud a Nord. La realtà è più articolata: esistono scambi bilaterali tra Paesi confinanti, migrazioni legate alla lingua comune e percorsi formativi condivisi.
La Germania, ad esempio, rappresenta un’importante fonte di professionisti per Austria e Svizzera, mentre i medici moldavi scelgono soprattutto la Romania . Allo stesso modo, i flussi tra Spagna e Portogallo o tra Paesi nordici mostrano che la mobilità sanitaria è un fenomeno intrinsecamente complesso.
Il nodo italiano L’Italia occupa una posizione particolare. Non rientra tra i Paesi più dipendenti da personale formato all’estero, ma vive una doppia condizione: da un lato continua a perdere medici e infermieri verso Paesi più attrattivi , dall’altro accoglie professionisti provenienti dall’Est Europa, in particolare infermieri.
Questo duplice ruolo di Paese di origine e di destinazione evidenzia le fragilità del sistema nazionale: carenze strutturali, retribuzioni basse, condizioni di lavoro difficili, ma anche necessità crescente di importare risorse dall’estero per mantenere i servizi.
L’allarme per il futuro Secondo le stime Oms, entro il 2030 la Regione europea si troverà ad affrontare una carenza di circa 950.000 operatori sanitari. Da qui l’appello ai governi: migliorare le condizioni di lavoro, investire nella formazione interna e rafforzare le politiche di fidelizzazione per ridurre l’emorragia di professionisti.
Come ha ribadito l’Oms, la migrazione del personale sanitario è una realtà che non può essere fermata, ma che deve essere gestita in modo equo e sostenibile, evitando che diventi un moltiplicatore di disuguaglianze tra Paesi.