HIV e AIDS in Italia, i nuovi dati: quadro stabile ma crescono le diagnosi tardive

Scritto il 01/12/2025
da Redazione

Ogni 1º dicembre, la Giornata mondiale contro l’AIDS richiama l’attenzione su una delle epidemie più drammatiche della storia moderna, che dal 1981 ha causato oltre 25 milioni di morti nel mondo. In questa ricorrenza, il nuovo report COA 2025 dell’Istituto Superiore di Sanità aggiorna il quadro dell’HIV in Italia: incidenza stabile, trasmissione quasi esclusivamente sessuale e un nodo irrisolto, le diagnosi tardive, ancora troppo frequenti e responsabili di esiti clinici peggiori e ritardi nella prevenzione.

Le nuove diagnosi HIV

fiocco hiv day

Il 1 dicembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale contro l'Aids

Nel 2024 in Italia sono state notificate 2.379 nuove diagnosi di HIV, pari a un’incidenza di 4 casi per 100mila residenti, un valore sovrapponibile a quello degli ultimi cinque anni.

L’età media al momento della diagnosi è di 40 anni, confermando uno spostamento progressivo dell’infezione verso fasce d’età più adulte, con un calo relativo tra i più giovani e una maggiore concentrazione tra i 35–55 anni.

Il 79% dei nuovi casi è costituito da uomini, mentre la quota di persone di nazionalità straniera rappresenta circa un terzo delle nuove diagnosi, una percentuale stabile ma superiore al peso demografico della popolazione straniera residente.

La via sessuale resta la principale modalità di trasmissione

Il COA conferma un dato noto ma cruciale: la trasmissione sessuale rappresenta l’87% delle nuove diagnosi.


Tra queste, la ripartizione è la seguente:

  • eterosessuali: 42%
  • MSM (uomini che fanno sesso con uomini): 45%
  • altre modalità (uso di sostanze, madre-figlio, emoderivati): 13%

Un elemento rilevante del report è l’aumento della quota di persone che scoprono l’infezione in fase sintomatica, spesso attraverso accessi al Pronto soccorso per condizioni correlate alla grave immunodepressione.

Quasi un caso su due arriva troppo tardi

È il dato più preoccupante: il 51% delle nuove diagnosi rientra nel criterio di late presentation, cioè con una conta di CD4 <350/mm³ o presenza di Aids alla diagnosi.

La durata stimata dell’infezione nei casi tardivi supera spesso i 3–5 anni prima della diagnosi, indicando un ritardo significativo nell’accesso al test.

Di particolare rilievo anche la quota di persone che ricevono la diagnosi già in fase di AIDS conclamato: circa il 16% nel 2024.

L’impatto clinico è evidente: peggiori condizioni immunitarie all’esordio, rischio più elevato di ospedalizzazione e maggiore complessità terapeutica.

Le persone che vivono con HIV

In Italia vivono con HIV circa 120mila persone, un dato fornito dalle stime del COA e aggiornato nel 2025.

La terapia antiretrovirale garantisce oggi una sopravvivenza quasi sovrapponibile a quella della popolazione generale e, nei pazienti in trattamento con carica virale non rilevabile, si applica il principio scientificamente dimostrato U=U (Undetectable = Untransmittable).

Tuttavia, la tardiva diagnosi continua a compromettere:

  • la tempestività dell’inizio della terapia
  • la qualità di vita
  • la prevenzione delle nuove infezioni
  • la sostenibilità del sistema sanitario

Un problema sanitario ma anche sociale

Il documento evidenzia come alcuni determinanti sociali incidano sul ritardo diagnostico: condizioni abitative precarie, scarsa integrazione socio-sanitaria, difficoltà linguistiche, stigma.

Lo stigma in particolare rimane uno dei motivi principali che limitano l’accesso al test, alla cura e alla prevenzione. Le diagnosi tardive sono più frequenti tra persone che non percepiscono il rischio o che temono le conseguenze sociali di un test positivo.

Dai documenti analizzati emerge un’indicazione chiara: serve una strategia più forte e più precoce, che includa test offerti attivamente nei setting sanitari ad alto rischio, counseling e programmi educativi rivolti alla popolazione generale e ai professionisti.

Gli infermieri, in questo scenario, diventano figure chiave per:

  • intercettare segnali di rischio
  • proporre il test in modo competente e non stigmatizzante
  • sostenere l’aderenza terapeutica
  • accompagnare la persona lungo tutto il percorso di cura

Il COA e le realtà cliniche territoriali concordano: la diagnosi precoce è la prima forma di cura e la prima arma per ridurre la trasmissione.