Questo Natale arriva in un anno in cui gli infermieri hanno fatto, ancora una volta, molto più di ciò che viene raccontato. Non servono luci, metafore sacre o parole che ci avvicinano agli angeli. La nostra professione non ha bisogno di ali: ha bisogno di riconoscimento. E quel riconoscimento appartiene a chi, ogni giorno, si prende cura del Paese senza chiedere applausi, ma evoluzione e rispetto.
Non angeli, non eroi: professionisti Questo Natale arriva in un anno in cui gli infermieri hanno fatto, ancora una volta, molto più di ciò che viene raccontato
La fotografia del 2025 che si chiude è limpida : organici sempre più fragili, responsabilità crescenti, turni che si allungano, pazienti più complessi, territori che cambiano.
In mezzo a tutto questo, però, c’è un filo che non si spezza: la presenza infermieristica.
Una presenza totale, instancabile e responsabile. Una presenza che tiene insieme ciò che spesso sembra sul punto di cedere.
E mentre nel dibattito pubblico si parla degli infermieri, di quanti ne mancano, di quanti se ne vanno, di quanto poco sia riconosciuto il loro ruolo, troppo raramente si parla con gli infermieri.
E ancor meno si ascolta ciò che da anni questi professionisti chiedono : dignità contrattuale, percorsi avanzati, autonomia reale, strumenti per lavorare in sicurezza.
Eppure, se c’è una lezione che questo anno lascia, è che il sistema sanitario non regge senza di noi.
La domanda, allora, è un’altra: siamo davvero consapevoli di questo valore? Riconosciamo a noi stessi la professionalità che esercitiamo ogni giorno, al pari delle altre figure sanitarie che godono di maggiore considerazione e visibilità?
Natale, allora, può essere questo: un tempo per guardarci allo specchio senza filtri .
Per riconoscere la fatica, la crescita, i nodi irrisolti e la forza che ci attraversa ogni giorno. Una forza che possediamo, ma di cui spesso non siamo pienamente consapevoli. Per ammettere che la parola “vocazione” non ci rappresenta più e forse non lo ha mai fatto davvero . Per ricordarci che il nostro lavoro è fatto di formazione avanzata, specializzazione e competenze reali, non di simboli idealizzati o narrazioni che non ci appartengono.
Dentro questa riflessione, c’è un pensiero che torna e che credo vada espresso con semplicità. Ed è qui che mi voglio fermare.
Io vi vedo.
Vi vedo nella stanchezza silenziosa che portate addosso, negli occhi che tradiscono la fatica prima ancora delle parole e nella psiche (come cervello e come anima) che è sempre più provata e messa alla prova.
Vi vedo nei turni che proseguono a casa con le mille cose da conciliare, senza dimenticarsi di essere una persona, senza dimenticarsi di prendersi cura anche di se.
Vi vedo quando affrontate la morte, la malattia con la compostezza e la lucidità che solo chi vive la cura dall’interno può comprendere, mentre trattate con normalità ciò che per la maggior parte delle persone è straordinario, a volte persino indicibile.
Vi vedo quando rinunciate all’ennesimo Natale in famiglia, quando consegnate un sorriso anche se dentro stringete i denti, quando un minuto di pausa diventa l’unico spazio per respirare.
Vi vedo anche nei dubbi, nella ricerca continua di senso, nei tentativi di non perdere l’entusiasmo in un sistema che spesso fatica a restituire ciò che riceve. Vi vedo nei gesti che nessuno nota, nei problemi che prevenite prima che accadano, nei dettagli che fanno la differenza tra sicurezza e rischio, tra cura e trascuratezza.
E soprattutto, vi vedo per ciò che siete davvero: professionisti che reggono la parte più silenziosa e più essenziale della sanità italiana.
Non angeli. Non eroi. Professionisti.
Buon Natale a chi lavora nella cura, spesso lontano dai riflettori. A chi garantisce continuità in un sistema che cambia, spesso senza stabilità. A chi mantiene la qualità del lavoro anche quando le risorse scarseggiano. A chi continua a credere che la competenza, alla fine, sia il vero punto fermo della cura. Buon Natale a chi assiste la vita e la morte, ogni giorno, nel loro incrociarsi continuo. Buon Natale a tutti noi.