Una retribuzione sempre più bassa, una carriera appiattita, un sistema di riconoscimento che penalizza la professionalità: lo studio pubblicato dal Centro Studi Nursind offre un'analisi impietosa dell'evoluzione degli stipendi infermieristici dal 1990 ad oggi, mostrando come il potere d'acquisto degli infermieri si sia drasticamente ridotto.
Trentacinque anni di erosione salariale Chi lavora in turni, terapie intensive o reparti infettivi percepisce oggi meno della metà delle indennità del 1990, una volta adeguate all'inflazione.
L'indagine, curata da Andrea Bottega (segretario nazionale Nursind) e Girolamo Zanella (consulente economico Nursind), parte da un dato chiave: se adeguata all'inflazione, la retribuzione base di un infermiere del 1990 sarebbe oggi più alta di migliaia di euro rispetto a quanto effettivamente percepito.
Lo studio documenta una perdita salariale annuale che supera i 9mila euro per un infermiere a fine carriera con turno in area critica, e che arriva a oltre 16mila euro considerando anche le indennità accessorie.
Già con la nascita del Ssn, si osserva una gestione disomogenea del personale sanitario proveniente da diversi enti. In seguito, i blocchi contrattuali degli anni ’90 e 2010 hanno ulteriormente inciso.
La rimozione della Retribuzione Individuale di Anzianità ( RIA), del plus orario, e la trasformazione dell'indennità infermieristica in fasce hanno portato a un progressivo smantellamento degli strumenti di valorizzazione economica della carriera infermieristica.
Una carriera professionale senza riconoscimento La contrattazione collettiva nazionale è stata indicata dallo studio come uno dei principali fattori di appiattimento retributivo. Dal confronto tra i livelli retributivi del 1990 e le nuove aree introdotte con il Ccnl del 2022 emerge chiaramente la compressione delle differenze tra i profili.
Ad esempio, la differenza tra il livello massimo (8bis) e quello iniziale era del 70% nel 1990, mentre nel 2023 la forbice tra area "Professionisti della salute" e "Supporto" è di appena il 26% .
Tra le cause: promozioni generalizzate con risorse distribuite "a pioggia", mancanza di fondi specifici per premiare la professionalità e, soprattutto, scelte politiche e sindacali che hanno privilegiato un livellamento al ribasso anziché la valorizzazione delle competenze.
Quanto valeva il lavoro di un infermiere ieri e quanto oggi Tra RIA, plus orario, indennità di specificità e servizi ad alta complessità, lo studio dimostra che un infermiere con 40 anni di servizio ha perso in media tra i 13 e i 16 mila euro lordi l'anno rispetto a quanto avrebbe guadagnato mantenendo le voci contrattuali pre-1999. Il plus orario, ad esempio, garantiva un'aggiunta mensile fino a 500 euro, oggi non sostituita da strumenti equivalenti.
Anche le indennità accessorie sono state ridotte drasticamente. Chi lavora in turni, terapie intensive o reparti infettivi percepisce oggi meno della metà delle indennità del 1990, una volta adeguate all'inflazione.
Il nodo degli incarichi e della carriera direttiva Lo studio analizza anche le evoluzioni degli incarichi di funzione e delle progressioni di carriera. Dai livelli direttivi dell'epoca pre-privatizzazione si è passati agli incarichi di base, spesso assegnati senza criteri trasparenti, con valori economici più bassi rispetto al passato e poca coerenza tra profilo professionale e riconoscimento economico. Emblematico il caso di personale laureato con incarichi da 1.000 euro annui affiancato da colleghi non laureati con incarichi da 3.000 euro.
La perdita di attrattività della professione La sintesi dei dati offerti da Nursind è chiara: la professione infermieristica è sempre più penalizzata sul piano retributivo e contrattuale . Una realtà che spiega il calo di iscrizioni ai corsi di laurea, la fuga dal sistema pubblico e il crescente disagio professionale.
Lo studio lancia un appello: è urgente riformare il sistema di riconoscimento salariale e di carriera, per evitare il collasso della professione e garantire la tenuta del Servizio sanitario nazionale.