Una mutazione sfuggita ai test
Campione di sperma
La vicenda riguarda un donatore danese registrato con lo pseudonimo “Kjeld”, che per 17 anni ha fornito campioni di sperma alla European Sperm Bank, una delle più grandi banche del seme al mondo.
Secondo l’inchiesta coordinata dall’European Broadcasting Union, a partire dal 2005 il suo materiale genetico è stato distribuito in 67 cliniche di 14 Paesi, contribuendo alla nascita di quasi 200 bambini.
La mutazione in questione interessa il gene TP53, un elemento essenziale nella prevenzione dello sviluppo di cellule tumorali. Nel donatore era presente solo in una parte degli spermatozoi (circa il 20%), mentre lui stesso non mostrava la mutazione nel resto del corpo. Per questo motivo gli screening standard non l’hanno identificata.
Una mutazione così distribuita, definita mosaicismo germinale, può però essere trasmessa integralmente alla prole, esponendola a un rischio oncologico elevatissimo fin dall’infanzia.
L’allarme tardivo e il ritardo nelle misure di sicurezza
Il primo segnale è arrivato nel 2020, quando un bambino nato da una donazione riconducibile a quel donatore ha ricevuto una diagnosi oncologica. La banca del seme ha temporaneamente sospeso l’uso dei campioni, avviando ulteriori analisi che però non hanno rilevato la mutazione. La distribuzione è quindi ripresa.
Tre anni dopo, un secondo caso ha portato a nuove verifiche, questa volta su campioni multipli, rivelando la presenza della mutazione. Solo a fine ottobre 2023 l’utilizzo dello sperma è stato definitivamente bloccato.
Nel frattempo, i bambini concepiti erano già centinaia. Secondo gli esperti citati dall’inchiesta, chi eredita la mutazione associata alla sindrome di Li-Fraumeni presenta fino al 90% di probabilità di sviluppare un tumore in età pediatrica o nell’età adulta (nelle donne, carcinoma mammario precoce).
Il peso umano della vicenda
La European Society of Human Genetics ha valutato di recente 67 bambini concepiti dal donatore, trovando la mutazione in 23 di loro. Alcuni hanno sviluppato più di un tipo di tumore, e in diversi casi la malattia è stata letale nei primi anni di vita.
Il racconto delle famiglie coinvolte riflette la gravità dell’impatto emotivo: molte non erano state informate in tempo utile e hanno scoperto la criticità solo dopo la diagnosi. «Non ce l’ho con il donatore inconsapevole», racconta una madre francese intervistata, «ma non è accettabile che mi sia stato iniettato qualcosa di non pulito, non sicuro, pericoloso».
Le banche del seme sottopongono i donatori a screening rigorosi, ma la vicenda dimostra come esistano ancora aree grigie: mutazioni rare, mosaicismi germinali difficili da individuare e sistemi di tracciamento non sempre tempestivi.
La banca danese, pur rivendicando la buona fede del donatore e degli operatori, ha ammesso la necessità di rivedere i protocolli: in alcuni Paesi lo stesso donatore ha contribuito alla nascita di un numero eccessivo di bambini, evidenziando anche un problema di distribuzione non equilibrata del materiale genetico.
L’inchiesta solleva interrogativi rilevanti per tutti i sistemi sanitari europei:
- la necessità di screening genetici più approfonditi, in grado di individuare mosaicismi e mutazioni rare
- la definizione di limiti più stringenti sul numero di nascite per ogni donatore
- protocolli di allerta rapida per informare tempestivamente cliniche e famiglie
- un sistema di vigilanza europeo coordinato

