Tra supporto decisionale e rischio di disumanizzazione: l’intelligenza artificiale al letto del paziente

Scritto il 27/11/2025
da Carmela Martella, Silvio Quirini

L’intelligenza artificiale non è più una promessa futuristica, ma una presenza quotidiana nei reparti e nei sistemi clinici. Le nuove Linee europee e la Legge italiana 132/2025 impongono un uso sicuro, trasparente e centrato sulla persona, ridefinendo il ruolo dei professionisti sanitari. Per gli infermieri questa trasformazione rappresenta insieme un’opportunità e una responsabilità: integrare gli algoritmi nella pratica assistenziale senza perdere la dimensione relazionale che dà senso alla cura.

Perché il tema è attuale e perché riguarda anche gli infermieri

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La legge italiana del 2025 lo afferma chiaramente: l’IA deve essere uno strumento a servizio dell’uomo, non un suo sostituto.

L’intelligenza artificiale (IA) non è più un concetto astratto da riviste di tecnologia o di futurologia: è ormai una realtà che entra ogni giorno nei reparti, nelle terapie intensive, negli ambulatori e persino nei sistemi informativi ospedalieri. Gli algoritmi leggono dati, segnalano anomalie, anticipano complicanze e suggeriscono decisioni cliniche (Ng, Ling, Chew & Lau, 2022).

Dietro ogni monitor, ogni alert, ogni score predittivo si nasconde una forma, più o meno sofisticata, di intelligenza artificiale. Per la professione infermieristica, questa rivoluzione rappresenta una sfida e una grande opportunità.

L’IA può diventare un potente strumento di supporto decisionale, capace di migliorare la sicurezza del paziente e alleggerire il carico cognitivo del personale sanitario (Ventura-Silva et al., 2024). Ma, al tempo stesso, porta con sé un rischio sottile e profondo: quello della disumanizzazione della cura. Quando una macchina suggerisce cosa fare o stabilisce una priorità, l’infermiere rischia di passare da professionista che interpreta e agisce a semplice esecutore di raccomandazioni algoritmiche(Hassan & El-Ashry, 2024). Non è un tema teorico.

È un passaggio che molti operatori stanno già vivendo, soprattutto nei contesti ad alta intensità assistenziale, dove i dati scorrono in tempo reale e il tempo per riflettere si riduce. Per questo, parlare oggi di intelligenza artificiale significa parlare del futuro dell’assistenza infermieristica stessa.

La recente Legge 23 settembre 2025, n.132, pubblicata in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 10 ottobre, segna un passo decisivo anche in Italia. La norma, che recepisce il nuovo quadro europeo in materia di IA, definisce principi, diritti e limiti: l’uso dell’intelligenza artificiale deve sempre rispettare la centralità della persona, garantire trasparenza, sicurezza e supervisione umana. Un orientamento che si inserisce perfettamente nella mission della disciplina infermieristica, fondata sulla relazione, l’ascolto e la tutela della dignità individuale.

AI in sanità

In ambito sanitario, l’intelligenza artificiale si traduce in una serie di applicazioni che vanno dalla diagnosi automatizzata all’analisi predittiva, dalla gestione dei flussi informativi al monitoraggio continuo dei pazienti (Ng, Ling, Chew & Lau, 2022) .

L’IA “legge” enormi quantità di dati provenienti da cartelle elettroniche, dispositivi, monitor e studi clinici, e li trasforma in previsioni, pattern o suggerimenti per l’equipe. Nel campo infermieristico, questo si traduce in strumenti che affiancano l’operatore in molte attività quotidiane: sistemi che segnalano precocemente il rischio di deterioramento clinico, algoritmi che stimano la probabilità di caduta o di lesione da pressione, software che suggeriscono piani assistenziali personalizzati o analizzano la compliance terapeutica (Ventura-Silva et al., 2024) .

In area critica, l’IA può perfino prevedere una crisi respiratoria o un’aritmia minuti prima che si manifesti, dando all’infermiere un vantaggio prezioso (Hassan & El-Ashry, 2024). La legge italiana del 2025 chiarisce tuttavia che queste tecnologie devono sempre restare a servizio della persona, mai in sostituzione del professionista.

Il testo parla esplicitamente di “uso antropocentrico dell’intelligenza artificiale” e sottolineando il valore di una supervisione umana significativa in ogni fase del processo decisionale. È un concetto cruciale: la macchina può elaborare, ma la responsabilità resta umana.

Applicazioni e potenzialità

Per gli infermieri, l’IA rappresenta una straordinaria alleata nel potenziare la qualità e la sicurezza dell’assistenza. Nei reparti di terapia intensiva, ad esempio, algoritmi di machine learning analizzano in tempo reale decine di parametri vitali e identificano schemi che il cervello umano faticherebbe a cogliere (Hassan & El-Ashry, 2024).

Nelle aree chirurgiche o perioperatorie, sistemi predittivi possono segnalare precocemente un rischio di complicanza post-operatoria, aiutando l’equipe a intervenire prima che il problema si manifesti.

Ma l’IA non si limita al monitoraggio. Può supportare la pianificazione del lavoro infermieristico, suggerendo la distribuzione ottimale del personale in base alla complessità assistenziale; può semplificare la documentazione automatizzando parti del diario clinico; può rendere più efficiente la comunicazione tra team attraverso la sintesi automatica dei dati (Ng, Ling, Chew & Lau, 2022; Ventura-Silva et al., 2024 .

Anche nella formazione, l’IA apre prospettive entusiasmanti. I sistemi di simulazione avanzata basati su algoritmi adattivi consentono scenari di apprendimento più realistici e personalizzati, migliorando le competenze decisionali e la prontezza clinica.

Tuttavia, la tecnologia più sofisticata non può, né deve, sostituire la capacità di osservazione, di giudizio e di relazione che caratterizza la professione infermieristica. È proprio qui che si gioca la vera sfida: integrare la potenza dei dati con l’intelligenza del prendersi cura (Ng, Ling, Chew & Lau, 2022).

Limiti, questioni etiche e formazione

Ogni innovazione porta con sé ambivalenze. L’IA promette efficienza, ma rischia di ridurre la complessità dell’essere umano a un algoritmo.

Un sistema predittivo può segnalare che un paziente ha un’alta probabilità di peggioramento, ma non “vede” la paura, la solitudine o la fragilità emotiva che solo uno sguardo umano può cogliere (Hassan & El-Ashry, 2024). In questo senso, il rischio di disumanizzazione è reale: una cura troppo mediata dalla tecnologia può trasformare il paziente in un insieme di variabili e l’infermiere in un controllore di dati.

C’è poi il tema, non secondario, della responsabilità professionale. Se una decisione suggerita dall’algoritmo si rivela errata, chi ne risponde? La legge 132/2025, come già sottolinato, chiarisce che la responsabilità resta in capo al professionista umano, e che ogni sistema deve essere trasparente e spiegabile.

Ma nella pratica, questo implica che gli infermieri dovranno essere sempre più competenti nel comprendere e valutare gli strumenti che utilizzano. Altri rischi riguardano la qualità dei dati (spesso incompleti o non rappresentativi), i bias algoritmici, la protezione della privacy e la sicurezza informatica. Tutti aspetti che richiedono una governance solida e una cultura digitale diffusa. Per questo, la formazione diventa una priorità.

Non basta “saper usare” l’IA: occorre capirne la logica, saper interpretare ciò che propone, riconoscerne i limiti e gli errori (Ng, Ling, Chew & Lau, 2022; Ventura-Silva et al., 2024). L’infermiere del futuro, e già del presente, dovrà essere un professionista “digitale”, capace di dialogare con la tecnologia mantenendo saldo il proprio giudizio clinico e la propria etica.

L’infermiere come ponte tra tecnologia e umanità

L’intelligenza artificiale rappresenta una delle trasformazioni più radicali che la sanità moderna abbia mai conosciuto. Ma la sua efficacia non dipenderà tanto dagli algoritmi, quanto da come le persone, e gli infermieri in particolare, sapranno governarla.

La legge italiana del 2025 lo afferma chiaramente: l’IA deve essere uno strumento a servizio dell’uomo, non un suo sostituto. In questa prospettiva, l’infermiere assume un ruolo chiave: è la figura che più di ogni altra vive al confine tra tecnologia e relazione, tra monitor e volto del paziente, tra precisione dei dati e imprevedibilità della vita.

Essere “ponte” tra tecnologia e umanità significa difendere la dimensione empatica e relazionale della cura, ma anche aprirsi al cambiamento con competenza, curiosità e spirito critico. L’IA può migliorare la sicurezza, la tempestività e la personalizzazione dell’assistenza, ma solo se viene integrata in un modello di cura centrato sulla persona, sulla dignità e sulla responsabilità professionale (Hassan & El-Ashry, 2024; Ventura-Silva et al., 2024).

In definitiva, non si tratta di scegliere tra uomo e macchina, ma di costruire un equilibrio nuovo in cui l’intelligenza artificiale amplifichi, e non oscuri, la nostra capacità di essere umani. E in questo equilibrio, l’infermiere non è spettatore, ma protagonista.