Terapie nella malattia di Parkinson
La levodopa (LD) costituisce tuttora il gold standard della terapia nella malattia di Parkinson. Nella fase iniziale i sintomi sono ben controllati utilizzando le formulazioni orali a base di LD, ma con l’evoluzione della malattia la durata della risposta diventa più breve, la finestra terapeutica si restringe e, occasionalmente, le fluttuazioni diventano imprevedibili, con oscillazioni random on-off e severa disabilità.
La dose deve essere aggiustata per una risposta clinica ottimale nel singolo paziente, il che significa massimizzare il periodo “on” funzionale durante il giorno, riducendo al minimo il numero e la durata di episodi “off” (bradicinesia) e riducendo al minimo il periodo con discinesia invalidante.
La stimolazione dopaminergica continua si è rivelata un ottimo approccio per colmare questo “gap”. Le fluttuazioni motorie interessano un’ampia quota di pazienti: il 40-50% circa di quelli trattati per 5 anni e addirittura l’80% di quelli trattati per 10 anni. La prevalenza di discinesie in pazienti in trattamento a lungo termine varia dal 30 all’80%.
Nel complesso queste complicanze derivanti dalla terapia comportano significativa disabilità e una drastica riduzione della qualità di vita. La stimolazione dopaminergica continua si è rivelata l’approccio migliore per colmare questo “gap”. Tra le possibili opzioni attualmente disponibili, rientra l’infusione duodenale di levodopa/carbidopa (Duodopa®).
Cos’è Duodopa® e come si somministra
Duodopa® è un gel intestinale che, somministrato attraverso una pompa, garantisce una stimolazione dopaminergica continua, in grado di mantenere una costante concentrazione di Levodopa nel sangue, migliorando così la sintomatologia e la qualità di vita.
Il gel è contenuto in cassette monouso da 100 ml, in cui sono contenuti 20 mg/ml di Levodopa, 5 mg/ml di Carbidopa, caramellosa sodica e acqua depurata. È un farmaco fotosensibile - poiché l’esposizione alla luce favorisce la degradazione della Carbidopa e/o della Levodopa - e termolabile, pertanto viene conservato in frigorifero a 2°-8° per 15 settimane e/o a 40° per massimo 16 ore.
Questo tipo di trattamento richiede il ricovero del paziente in clinica/reparto neurologico, dove si valuterà la sua finestra terapeutica, si procederà al posizionamento di una PEG/J e all’educazione del paziente e del caregiver nella gestione domiciliare.
Il sistema infusionale permette la somministrazione continua del farmaco direttamente a livello intestinale, assicurando livelli costanti di Levodopa. Si tratta di un dispositivo che si compone di 3 elementi essenziali:
- Una cassetta: contenente il farmaco Duodopa
- Una pompa CADD-Legacy (CE 0473) sulla quale si imposta la velocità d’infusione, si regola la terapia in relazione alla risposta clinica e si collega con la cassetta del farmaco
- Una PEG/J, ossia una sonda che, attraverso la creazione di una stomia a livello addominale, congiunge la porzione dell’intestino con la pompa
Perché la via di somministrazione attraverso una PEGJ
La modalità terapeutica recentemente introdotta per il trattamento dei pazienti parkinsoniani in fase avanzata consente di superare il problema dello svuotamento gastrico erratico favorendo il passaggio del farmaco direttamente a livello intestinale (digiuno) sito di assorbimento della levodopa quindi con una stimolazione dopaminergica più continua e non pulsatile riuscendo ad assicurare dei livelli plasmatici di L-dopa meno variabili.
Il sondino trans-addominale esterno e sondino intestinale interno posizionati tramite gastrostomia endoscopica percutanea uniti alla pompa portatile in figura per 12-14 h al dì (raramente 24 h) permette di ottenere dei livelli plasmatici stabili con riduzione delle fluttuazioni motorie e discinesie; altra prerogativa di tale modalità di somministrazione la possibilità di personalizzare la terapia ad ogni singolo paziente e modulare la somministrazione di farmaco in base alle varie necessità nell’arco della giornata.
- La dose bolo al mattino: somministrata in bolo entro mezz’ora dal risveglio, serve per raggiungere il dosaggio terapeutico e migliorare la mobilità entro un’ora. Normalmente è pari a circa 5-10 ml che equivalgono a 100-200 mg di Levodopa
- Dose di mantenimento: serve per mantenere una concentrazione costante del farmaco. Questa dose viene modulata in base alle caratteristiche del paziente, ma normalmente è pari a 2-6 ml/h che corrispondono a circa 40-120 mg di Levodopa/h
- Dosi extra: viene somministrata in bolo nei casi in cui, nell’arco della giornata, il paziente diventa ipocinetico. Anch’essa è individuale e normalmente è pari a 0,5-2 ml, in alcuni casi può essere maggiore ma se supera i 5 ml bisogna aumentare la dose di mantenimento. L’effetto massimo si raggiunge nel giro di 30/40 minuti e la somministrazione di dosi extra consecutive non può avvenire nell’arco della stessa ora
Il trattamento con Duodopa® è indicato nelle fasi avanzate del Parkinson e in pazienti che non abbiano eccessivo deterioramento cognitivo o significative alterazioni del comportamento poiché il trattamento necessita anche di una collaborazione dello stesso.
Importante nella fase post-impianto della PEGJ la figura dell’infermiere, che ha la responsabilità di istruire il paziente e il caregiver riguardo l’utilizzo della pompa e deve essere in grado di percepire se il paziente e/o caregiver siano in grado di gestire il sistema infusionale a domicilio.
Altresì di vitale importanza l’apporto di un nutrizionista, che dovrà impostare un corretto regime alimentare che favorisca un corretto transito intestinale, rallentato nei pazienti parkinsoniani e causa di un alterato assorbimento farmacologico. Da non escludere la presenza del fisioterapista, poiché la riabilitazione e l’esercizio fisico costante permettono un miglioramento della qualità della vita e la funzione motoria.
Come precedentemente citato: il caregiver viene istruito dall’infermiere, il quale spiega l’utilizzo della pompa, la somministrazione della Duodopa®, la conservazione (in frigo) del farmaco, lo smaltimento della cassetta ed eventuali complicanze che possono insorgere e che devono essere riferite immediatamente al medico e infermiere che ha in carico il paziente. Per aumentare la speranza di vita e per ridurre lo stress, che tende ad aggravare i sintomi, è fondamentale che il caregiver acquisisca le nozioni necessarie.
Sono dunque molti i vantaggi, in primis il sensibile miglioramento della qualità di vita dei pazienti, ma è altrettanto vero che procedure di questo tipo richiedono un impegno importante che il caregiver deve assumere senza riserve impegnandosi a rispettare le nozioni che gli vengono fornite dai professionisti coinvolti nella cura di un paziente tanto complesso.
- Articolo a cura di Erasmo Spinosa - Infermiere