Infermiere di sala nell’artroprotesi di ginocchio robotizzata

Scritto il 08/08/2020
da Redazione

L’infermiere di sala operatoria riveste ruoli specifici e propedeutici in tutte le fasi che precedono, accompagnano e seguono l’intervento chirurgico. Vengono richieste conoscenze e capacità tecniche affinché egli sia un collaboratore in grado di agire con professionalità e competenza in tutte le fasi chirurgiche e anestesiologiche. L’infermiere di sala o infermiere non sterile nell’artroprotesi di ginocchio robotizzata ha una gamma di funzioni molto varia, poiché collabora con tutte le figure professionali presenti.

Funzioni dell’infermiere di sala in ortopedia

Le sue funzioni sono riassumibili nel modo seguente:

  • Verifica il funzionamento di tutti gli apparecchi elettromedicali della sala operatoria
  • Collabora con l’infermiere strumentista nella vestizione e nell’allestimento del tavolo base e dei tavoli servitori
  • Collabora con il nurse di anestesia sia nel monitoraggio dei parametri, che nei farmaci da infondere al paziente oltre alla compilazione della check list operatoria
  • Qualora non sia presente la figura dell’infermiere d’anestesia, collabora con l’anestesista nelle fasi più impegnative
  • Mantiene gli standard di sicurezza del paziente
  • Fornisce assistenza al paziente con una comprensione dell'età, health literacy e varie esigenze specifiche
  • Collabora nel posizionamento del paziente sul letto operatorio
  • Posiziona il laccio pneumo-ischemico alla radice della coscia
  • Collabora con l’équipe chirurgica durante tutto l’intervento, porgendo di volta in volta il materiale richiesto e modificando il posizionamento e l’orientamento delle lampade scialitiche in base alle necessità di visuale del chirurgo e su richiesta
  • Modifica dall’esterno del campo operatorio le impostazioni degli apparecchi elettromedicali su richiesta dell’équipe chirurgica
  • Ritira i pezzi anatomici da inviare al servizio di anatomia patologica, nonché i vari materiali organici da destinare ai diversi laboratori provvedendo a inserirli negli appositi contenitori, preventivamente etichettati con i dati del paziente
  • Ritira il materiale che progressivamente viene allontanato dal campo operatorio (strumenti, garze, taglienti) e lo deposita in maniera ordinata negli appositi contenitori

Patologie degenerative della cartilagine del ginocchio

Esistono diverse patologie degenerative della cartilagine del ginocchio:

  • Artrosi (o osteoartrosi): è una patologia degenerativa della cartilagine a carattere evolutivo, che si manifesta soprattutto nelle persone anziane e, frequentemente, negli individui con una predisposizione familiare legata a questa patologia. Si tratta di un’usura progressiva della cartilagine che si sviluppa nell’arco di parecchi anni.
  • La cartilagine non è rifornita di sangue ed ha scarse capacità riparative quando lesionata, per cui si consuma. Si possono verificare ulcerazioni ed anche erosione fino a raggiungere l’osso sottostante. Questo processo degenerativo è spesso accelerato da fattori come obesità e malattie infiammatorie. Il primo sintomo della sofferenza della cartilagine, oltre al gonfiore, è la diminuzione dei movimenti e la comparsa di rumori articolari; le attività quotidiane come alzarsi da una sedia, camminare, salire e scendere le scale, divengono difficoltose e dolorose. Con il passare del tempo, il dolore diviene sempre più costante, rendendo difficile anche il riposo notturno
  • Artrosi post-traumatica: può essere provocata da una lesione dell’articolazione non curata o non guarita perfettamente. La sintomatologia e l’esito della patologia sono le stesse dell’artrosi. In questo ambito vanno considerati tutti i postumi delle lesioni capsulo-legamentose da sport
  • Necrosi avascolare: può prodursi dopo un forte trauma o quando l’osso è privato del suo normale apporto di sangue (ad esempio a causa di un lungo trattamento con farmaci a base di cortisone): la struttura ossea s’indebolisce e può degradarsi coinvolgendo anche la cartilagine

La chirurgia protesica robot assistita del ginocchio

Consiste nell’applicazione di una protesi compartimentale o totale con l’ausilio del sistema robotico. Esso si avvale di un sistema computerizzato che elabora un modello virtuale tridimensionale del ginocchio da operare, sfruttando le immagini TAC 3D effettuate dal paziente prima dell’intervento.

Il modello, così creato, permette al chirurgo di pianificare prima dell’intervento l’impianto protesico. In fase operatoria, tramite dei sensori posizionati sull’articolazione, il chirurgo fornisce al computer del robot altri parametri che, uniti al precedente studio pre-operatorio, permettono di modificare, ottimizzandolo, il posizionamento definitivo delle componenti, consentendo di personalizzare l’impianto della protesi.

Sulla base del modello definitivo, il chirurgo tramite una fresa o la lama di una sega montata su di un braccio meccanico e sotto il costante controllo del computer, prepara la sede nell’osso per l’impianto della protesi.

L’intervento viene eseguito attraverso un’incisione di 4-5 cm nel caso di protesi parziali e di 10-12 cm nelle totali, con un grande rispetto dei tessuti articolari. Salvo condizioni cliniche particolari, il giorno stesso dell’intervento il paziente è già in grado di compiere i primi passi, caricando il peso sull’arto operato. Nel caso di protesi compartimentali nella maggioranza dei casi la dimissione avviene in seconda/terza giornata.

All’atto della dimissione, viene consegnato ed illustrato dal fisioterapista il programma riabilitativo che il paziente può proseguire per tre/quattro settimane in regime ambulatoriale o autonomamente a domicilio. Nel caso di protesi totali la dimissione può avvenire nell’arco di una settimana o prolungarsi fino alla rimozione dei punti di sutura (due settimane).

Chi può sottoporsi all’intervento

Tutti i pazienti che soffrono di una patologia degenerativa che interessa prevalentemente un compartimento articolare (mediale, laterale o femoro-rotuleo) possono essere trattati con un impianto protesico compartimentale robot assistito. In alcuni casi è possibile che coesista l’interessamento anche di più di un comparto (ad es. mediale e femoro-rotuleo) e in questi casi si ricorre alla sostituzione protesica di entrambe le aree colpite (bimonocompartimentale).

Sono indispensabili, per poter eseguire questa metodica chirurgica, una deformità non particolarmente grave ed una buona efficienza dei legamenti. Le patologie infiammatorie (artrite reumatoide, psoriasica, etc.) trovano un’indicazione limitata a determinati casi. L’età non rappresenta più un limite assoluto, tanto che non sono infrequenti interventi sotto i 35 anni e sopra gli 80.

Quando la degenerazione cartilaginea coinvolge tutta l’articolazione o le deformità sono molto accentuate, è necessario ricorrere a una protesi totale robot assistita.

Vantaggi della chirurgia robot assistita

  • Massima precisione nel posizionamento, grazie ad una resezione dell’osso controllata dal software del sistema
  • Sostituzione mirata delle superfici usurate
  • Minima invasività legata a preservazione dei tessuti e conservazione di una maggiore quantità d’osso
  • Possibilità di eseguire un bilanciamento legamentoso ottimale paziente specifico in tutto l’arco del movimento realizzando così un impianto protesico personalizzato
  • Aumento delle tipologie di pazienti che possono essere candidati alla sostituzione protesica mono o bicompartimentale (una o due parti del ginocchio) o totale
  • Ripresa della deambulazione dei pazienti già nella giornata dell’intervento
  • Riabilitazione a domicilio nella maggioranza dei casi nelle artroprotesi compartimentali
  • Diminuzione dei costi sociali grazie ad un ricovero più breve e ad una ripresa dell’attività lavorativa più rapida
  • Diminuzione dell’uso di farmaci analgesici

Svantaggi della chirurgia robot assistita

  • Maggiore tempo nella preparazione della sala operatoria.
  • Maggiore durata dell’intervento chirurgico

Aspetti legali dell’infermiere in sala operatoria

In tema di responsabilità professionale anche l’attività infermieristica è portatrice di quella che la giurisprudenza definisce “posizione di garanzia” per la quale sussiste un obbligo di protezione nei confronti dei pazienti verso tutti i rischi prevedibili e quindi evitabili, per tutta la durata del turno di lavoro.

Di tale posizione di garanzia è portatore allo stesso tempo anche il chirurgo per cui, in caso di lavoro in équipe come avviene nel corso di un intervento in sala operatoria, ogni componente sarà investito di quest’obbligo nei confronti del paziente operato.

Una delle caratteristiche peculiari dell’attività di sala operatoria è la suddivisione del lavoro tra il personale medico e il personale infermieristico, secondo i compiti specifici delle rispettive figure professionali, mantenendo però un alto grado di collaborazione e di coordinamento. Tra le varie figure facenti parte dell’équipe in sala operatoria vige quello che viene definito “principio di affidamento”, in forza del quale ciascun soggetto facente parte di un’équipe può presupporre che gli altri componenti lavorino in modo corretto e diligente, senza perciò vedersi addossata una responsabilità per un errore altrui per il solo fatto di non aver controllato quanto stava facendo in quel momento un altro componente dell’équipe.

In linea generale la sala operatoria si presta a molteplici ipotesi di responsabilità dell’infermiere, tra le questioni più rilevanti che sono state oggetto negli ultimi anni di sentenze da parte dei Tribunali e della Corte di Cassazione abbiamo:

  • Dimenticanza di garze o strumenti nel sito chirurgico (Cassazione penale 39062/04 - 18568/05 - 22579/05)
  • Errato posizionamento del paziente sul tavolo operatorio (Cassazione penale 7082/83)
  • Lesioni al paziente causate da apparecchi elettromedicali (Tribunale di Monza, sentenza 23 ottobre 2006)
  • Errata trasfusione di sangue (Cassazione penale 7061/91 – Tribunale di Bologna sentenza 907/02)
  • Mancato controllo delle apparecchiature d’anestesia (Cassazione penale 10868/83)
  • Errata somministrazione di farmaci (Cassazione penale 1878/00)

*Articolo a cura di Daniele Emidio Fagone La Zita - Infermiere