Trattamento con ultrafiltrazione di pazienti con scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco rappresenta un importante problema sanitario nel mondo occidentale, soprattutto nella popolazione over 65. La mortalità osservata per tale patologia negli Stati Uniti è pari a circa 300000 pazienti/anno. I numerosi ricoveri ospedalieri rappresentano un danno economico non indifferente e contribuiscono ad accelerare la progressione della malattia.
La ritenzione idrosalina, che dal punto di vista clinico si esprime sotto forma di congestione del circolo polmonare e sistemico, rappresenta ancora oggi un problema clinico centrale nello scompenso cardiaco, soprattutto in fase di acuzie ed è la causa più frequente di ospedalizzazione in tali pazienti.
La congestione svolge un ruolo centrale nella progressione della sindrome, condiziona una prognosi negativa e, inoltre, favorisce lo sviluppo e l’aggravamento dell’insufficienza renale, evento molto frequente in corso di scompenso cardiaco, associato a sua volta ad un sostanziale incremento della mortalità.
La riduzione e il controllo della congestione rappresentano un obiettivo terapeutico centrale nel trattamento dello scompenso cardiaco; tale traguardo dovrebbe essere raggiunto mediante la rimozione dei liquidi in eccesso dai compartimenti intra ed extra-vascolari, in assenza di conseguenze negative sulla funzione renale secondarie a ipovolemia e/o all’ulteriore attivazione dei sistemi neuro-ormonali coinvolti nella patogenesi e nella progressione della stessa sindrome.
I farmaci diuretici sono tuttora considerati un elemento fondamentale nell’approccio terapeutico al paziente affetto da scompenso cardiaco, anche se la resistenza all’effetto di tali farmaci può essere un problema clinico molto frequente, specie nelle fasi di acuzie della sindrome.
Alla base della mancata efficienza dei diuretici concorrono sia l’inappropriato utilizzo di essi in termini farmacodinamici e farmacocinetici (posologia inadeguata, mancato utilizzo di associazioni per ridurre il riassorbimento del sodio da parte del nefrone, modalità di somministrazione e tempi incongrui), sia la frequente condizione di insufficienza renale preesistente.
Il connubio di insufficienza cardiaca, peggioramento della funzione renale e la resistenza ai farmaci diuretici viene a configurare il quadro clinico più grave, ovvero la cosiddetta sindrome cardio-renale.
Il controllo della congestione di circolo rappresenta un obiettivo terapeutico primario nel paziente con scompenso cardiaco e per tale motivo sono state proposte la correzione del sovraccarico di fluidi mediante ultrafiltrazione isolata (cioè attuata con macchine ad hoc o per dialisi/emofiltrazione) oppure l’ultrafiltrazione per via peritoneale.
Cos’è l’ultrafiltrazione
L’ultrafiltrazione è un trattamento sostitutivo della funzione renale, oggi applicabile fuori dai reparti di nefrologia e dialisi grazie ad una tecnologia sempre più smart e dedicata al paziente cardiopatico. Tale pratica è stata introdotta nei primi anni del 2000 nell’ambito cardiologico.
La produzione di ultrafiltrato avviene attraverso una circolazione extracorporea in cui è inserito un filtro semipermeabile; l’accesso è veno-venoso, mentre la stabilità circolatoria è garantita a livello dei capillari polmonari e sistemici dal “refilling” plasmatico, che ripristina la volemia.
Il trattamento con ultrafiltrazione di pazienti con scompenso cardiaco congestizio severo e resistente ai diuretici è in grado, in poche ore, di ridurre gli edemi, migliorare i sintomi e la performance cardiaca, ripristinare la diuresi spontanea e la risposta ai diuretici, correggere l’iponatremia e ridurre l’attivazione neuroumorale.
In letteratura sono diversi gli studi pubblicati che documentano le basi scientifiche dei benefici in termini di meccanismi fisiopatologici, che si innescano con la seduta di ultrafiltrazione e si mantengono nel periodo successivo anche a medio termine, con riduzione sostanziale di nuovi episodi di instabilizzazione congestizia e di riospedalizzazioni.
L’ultrafiltrazione (UF), viene praticata nelle terapie intensive cardiologiche con dispositivi dedicati di dimensioni compatte rispetto ai dispositivi di sostituzione renale (RRT, Renal Replacement Terapy).
La gestione della macchina di UF è affidata agli infermieri, che gestiscono autonomamente il trattamento sulla base di valori concordati con i medici cardiologi e nefrologi. Per gli infermieri di Unità di Terapia Intensiva Coronarica la gestione del paziente sottoposto a tale trattamento rappresenta un momento di ulteriore professionalizzazione, che fa di essi dei professionisti a 360°.
Indicazioni e modalità di trattamento
A partire dal lontano 2005 - anno nel quale è stata riconosciuta l’efficacia dell’UF come alternativa alla terapia diuretica che apporta notevoli vantaggi in termini di riduzione di liquidi e perdita di peso
- si sono susseguiti diversi studi, alcuni dei quali hanno messo in discussione tale affermazione; nel 2015 lo studio CARESS-HF metteva in discussione l’UF, affermando che il ricorso a tale metodica non offriva vantaggi rispetto ad una terapia ottimale con diuretici.
Attualmente le Linee Guida dell’European Society of Cardiology (ESC) affermano che l’uso di routine dell’UF non è raccomandato e dovrebbe essere riservato ai pazienti che non rispondono alle strategie diuretiche
. L’american Hearth Association lo conferma, ponendo l’UF in classe (IIaB).
Il maggiore accesso all’UF è stato facilitato dallo sviluppo di dispositivi semplificati con la possibilità di essere gestiti interamente dagli infermieri di UTIC. La metodica utilizzata è l’UF (isolata) lenta o SCUF (Slow Continuous UltraFiltration), che permette il proporzionale spostamento, continuo e graduale di acqua dallo spazio extravascolare al letto vascolare, non compromettendo la stabilità emodinamica (tale processo viene detto refilling).
Al contempo, si assiste all’incremento degli scambi dei gas col rispettivo miglioramento dei sintomi respiratori e alla riattivazione dei meccanismi di risposta ai diuretici. L’UF produce acqua plasmatica attraverso l’applicazione di un gradiente pressorio su una membrana semipermeabile.
L’ultrafiltrato è pertanto isotonico rispetto al plasma. L’UF rimuove i liquidi in eccesso, riducendo la congestione extravascolare e sistemica, differentemente dell’emofiltrazione che depura anche il sangue, non necessita di dispositivi altamente complessi.
L’UF, quindi, non è dialisi, ma è quanto mai utile per il paziente con AHF resistente alla terapia diuretica. Infatti, nella progressione dell’HF si instaura una situazione clinica definita Sindrome Cardiorenale: cuore e rene sono organi anatomicamente lontani ma strettamente legati tra loro. Il coinvolgimento patologico di uno, infatti, può indurre conseguenze nell’altro.
Esistono ancora dei dubbi da chiarire in quanto l’UF non è ancora sufficientemente studiata, (benefici, ripristino diuresi, mortalità a lungo termine); le conoscenze attuali non rispondono con certezza all’effettiva superiorità dell’UF rispetto ad altre forme di RRT o ai diuretici. Il maggior consenso ed evidenza è circa l’utilità dell’UF per la rimozione di fluidi in caso di refrattarietà alla terapia medica.