Mandare la vita in fumo, il ruolo dell’infermiere
L’infermiere oggi è chiamato a rispondere dei bisogni di assistenza infermieristica non solo nella cura e nella riabilitazione, ma anche nella promozione di stili di vita sani e nella prevenzione delle malattie. Gli infermieri sono figure che possono e devono partecipare attivamente alla lotta antifumo partendo dalla valorizzazione del loro lavoro, del loro “sentire” e della loro posizione di vicinanza al singolo e alla collettività.
Il fumo è uno dei maggiori fattori di rischio nello sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. È risaputo che il fumo di sigaretta è la principale causa di morte evitabile nei paesi industrializzati ed è inoltre la seconda causa di morte nel mondo. L’assunzione costante e prolungata di tabacco è in grado di incidere sulla durata della vita media, oltre che sulla qualità della stessa: 20 sigarette al giorno riducono di circa 4-6 anni la vita media di un giovane che inizia a fumare a 25 anni. Per ogni settimana di fumo si perde un giorno di vita. Si stima che di 1000 maschi adulti che fumano, uno morirà di morte violenta, sei per incidente stradale e 250 saranno uccisi dal tabacco per patologie ad esse correlate.
Il tabagismo è dunque un problema prioritario, la cui natura psico-patologica richiede un intervento multidisciplinare, il coinvolgimento di più servizi, una attenzione specifica al rischio di ricaduta lungo tutta la vita dell’ex-fumatore, oltre al supporto di interventi di popolazione e di politiche sanitarie specifiche.
Gli interventi di cessazione hanno oggi a disposizione prove di efficacia su numerosi strumenti, tra i quali peraltro il professionista non sempre è in grado di scegliere, ma l’evidenza derivata da indagini recenti sottolinea la scarsità della loro applicazione e la diffusione dell’uso di interventi inappropriati.
Il tabagismo nella storia
La prima notizia riguardo alla pianta del tabacco risale al 1492, anno della scoperta dell'America. Fu proprio Cristoforo Colombo, infatti, ad annotare nel suo diario di viaggio della strana usanza degli indigeni americani di introdurre foglie di pianta arrotolata nel naso aspirandone il fumo.
A quell'epoca l'uso del tabacco era diffuso quasi uniformemente in tutto il continente americano, sia come sostanza medicamentosa che come strumento di riti magico religiosi, anche se conosciuto con nomi assai diversi dalle differenti popolazioni indigene.
La parola “tabaco” o “tabacas”, riportata dai primi esploratori del continente americano, era in realtà un termine impiegato dagli indigeni per indicare non la pianta, bensì gli strumenti usati per fumarla.
La coltivazione del tabacco è molto antica: reperti rivenuti in Perù e in Messico hanno consentito di accertare che la pianta era già coltivata intorno al 4000 a.C. A partire dalla scoperta dell'America la diffusione del tabacco in Europa fu rapidissima. Il primo esemplare di una pianta arrivò nel 1512 in Portogallo, da dove il tabacco iniziò a diffondersi e nella seconda metà del Cinquecento anche in Spagna e in Francia, non solo come abitudine diffusa tra marinai e proletari della città portuali, ma anche come erba medicinale.
In Italia il tabacco fece la sua comparsa più o meno nella stessa epoca, ad opera del cardinale Prospero di Santa Croce, a quel tempo nunzio pontificio a Lisbona, il quale provvide a far giungere i semi della pianta del tabacco alla Santa Sede. Affidata ai monaci di vari ordini religiosi, la pianta del tabacco iniziò dunque ad essere coltivata anzitutto negli orti botanici dei conventi locali. È questo il motivo per cui la sua diffusione in Italia prese il via dal Lazio.
Per decenni in tutta Europa vennero attribuite al tabacco presunte proprietà curative per i più svariati generi di disturbi e malattie e per questa ragione finì col divenire per un certo tempo dominio esclusivo dei farmacisti. La successiva diffusione rapidissima del tabacco in Europa è dovuta, in realtà, al suo uso voluttuario.
Il tabagismo oggi
Secondo l’indagine demoscopica Doxa questa è la situazione in Italia nel 2015: su un totale di 52.3 milioni di italiani di età maggiore di 15 anni, 10.9 milioni sono fumatori, di cui il 25.1% uomini e il 16.9% donne.
Il tabagismo è strettamente legato alla crescita economica di un paese. Mentre prima l’immagine del fumatore era associata a una persona di successo e affascinante, ormai questa icona è stata superata perché si conoscono tutte le sostanze dannose che contiene la sigaretta. Ad esempio nicotina, monossido di carbonio, sostanze cancerogene e sostanze irritanti e tossine. Non solo, si conoscono anche i danni che queste sostanze creano all’apparato respiratorio (Bpco broncopneopatia cronica ostruttiva, tumore ai polmoni); all’apparato cardiovascolare causando infarto, ostruzione dell’arterie; al cavo orale causando tumore alla bocca; all’apparato genitale steritità all’uomo; e alla donna in gravidanza con gravi danni respiratori anche al feto.
Il ruolo dell'infermiere nella lotta al tabagismo
Nella lotta contro il tabagismo il ruolo dell'infermiere dovrebbe essere quello ricompreso in un programma educazionale. Le principali linee guida internazionali raccomandano che gli interventi clinici di cessazione siano organizzati intorno a una struttura di intervento conosciuta come le 5°: ask, advide, assess, assist, arrange
Negli ultimi anni tutti i paesi stanno attuando una lotta contro il tabagismo, con soluzioni che sono frutto di rilevazioni scientifiche. Dal divieto di fumo nei luoghi pubblici all’aumento del prezzo delle sigarette, passando per campagne pubblicitarie e per leggi che proibiscono la vendita delle sigarette ai minori o immagini choc sui pacchetti.
È nell’età adolescenziale che la maggior parte dei fumatori inizia la pratica del fumo, quindi gli operatori sanitari, tra cui l’infermiere, dovrebbero rivolgere i propri sforzi nelle scuole, attraverso campagne informative, educative a scopo preventivo, intraprendendo quindi un processo di prevenzione primaria. L’adolescente dovrebbe conoscere le conseguenze a cui va incontro se incomincia a fumare, quindi è compito dell’infermiere in primis informare i ragazzi ed educarli a stili di vita più salutari.
Le campagne precedenti di prevenzione in tal senso hanno dovuto affrontare diverse problematiche, soprattutto nei risultati ottenuti a lungo termine. Si è notato negli studi effettuati, come con il passare del tempo le informazioni proposte non rimangano come bagaglio culturale dell’adolescente, ma svaniscano, perché non supportate da normative e leggi che tutelino la salute dell’adolescente. Norme e regole che vadano a sensibilizzare chi, come gli insegnanti, rappresenta l’autorità e/o un punto di riferimento, da cui i ragazzi prendono spunto. Certo è che non si può limitare la libertà personale del professionista, ma rispettare la legislazione vigente dovrebbe essere un obbligo e non una possibilità.
Molte campagne di prevenzione non hanno riscontrato un grande successo, in quanto non sono riuscite a colpire i ragazzi, perché troppo formali. Il ruolo dell’operatore sanitario in questo caso è quello di fornire ai ragazzi le informazioni e il materiale necessario su cui lavorare, che non sono altro che le conoscenze riguardanti la problematica del tabagismo con tutte le sue conseguenze. Il minimal advice è un intervento di facile applicabilità e dai dati elaborati si evince che tale intervento attuato dall’infermiere è efficace nella lotta contro il tabagismo. Si potrebbe proporre l’inserimento del minimal advice nella pratica clinica per fare in modo che questo approccio venga messo in atto con maggiore partecipazione e frequenza. Studi futuri dovrebbero indirizzarsi in tal senso, per promuovere la salute del cittadino e l’empowerment del professionista.
Arnita Gruda, neo infermiera