Generalmente considerati a basso rischio, facili da inserire, rimuovere e gestire, gli accessi vascolari periferici sono i più utilizzati nella pratica clinica. Mentre gli studi di settore per decenni li hanno trascurati (concentrandosi principalmente sui cateteri venosi centrali e sui periferici che richiedono un inserimento ecoguidato, comunemente riconosciuti come associati a gravi complicanze potenziali), oggi sono riemersi all'attenzione dei clinici, poiché associati ad un'alta incidenza di complicanze che impattano su outcome assistenziali, tempi di degenza e costi relativi e assoluti.

Ridurre il rischio di complicanze associate all’accesso venoso periferico

Medicazione sterile semipermeabile trasparente indicata per il fissaggio del dispositivo di accesso intravenoso periferico.

L’incannulamento venoso periferico è uno dei metodi più diffusi per la somministrazione di farmaci, liquidi ed emoderivati, in contesti ospedalieri (e non solo): si stima che a circa il 70% dei pazienti ospedalizzati venga posizionato un accesso venoso periferico.

Come riportato dalla letteratura tutti i cateteri rappresentano una fonte di accesso per i contaminanti verso il flusso sanguigno e possono causare infezioni locali e sistemiche.

Le pratiche di posizionamento e gestione degli accessi, se non correttamente eseguite, oltre a complicanze infettive possono portare a complicanze meccaniche e trombotiche.

Se grande attenzione è stata posta fin da subito alla prevenzione delle complicanze legate ai cateteri venosi centrali, l'accesso intravenoso periferico (PIV) per lungo tempo è stato generalmente considerato a basso rischio, quando in realtà il 16-23% di batteriemie derivano da un catetere periferico1 e il tasso di mortalità dei pazienti con CRBSI derivante da PIV è del 12,7%2.

Nell’ultimo decennio, dunque, è diventato sempre più evidente che sebbene i dispositivi di accesso intravenoso periferico siano effettivamente considerabili poco costosi e di semplice posizionamento, sono comunque associati ad un'alta incidenza di complicanze, che alla fine concorrono tutte allo stesso risultato: il "fallimento del catetere", ovvero alla rimozione o dislocazione non programmata del device, causando discomfort per i pazienti, aumento dell’incidenza di complicanze, prolungamento dei tempi di degenza, aumento del carico di lavoro per il team assistenziale e maggiore utilizzo di risorse sanitarie (esami diagnostici, farmaci, nuovi dispositivi, ecc.).

Da qui la necessità di richiamare l’attenzione sugli accessi venosi periferici, per condurre interventi d’istruzione e formazione del personale sanitario sulle indicazioni d’uso e le procedure per l’inserimento e la gestione dei device, nonché sulle misure appropriate per la prevenzione e il trattamento delle complicanze, soprattutto quelle a carattere infettivo.

Poiché diverse innovazioni hanno recentemente modificato i criteri di scelta e gestione degli accessi venosi periferici (nuovi dispositivi, nuove tecniche di inserimento, nuove raccomandazioni per la manutenzione), la World Conference on Vascular Access (WoCoVA) ha redatto un documento di consenso internazionale dal respiro europeo (ERPIUP 20214) con l’obiettivo di proporre una classificazione chiara e utile dei dispositivi di accesso venoso periferico attualmente disponibili, chiarire la corretta indicazione dell'accesso venoso centrale rispetto a quello periferico, discutere le indicazioni dei diversi dispositivi di accesso venoso periferico (cannule periferiche corte, cannule periferiche lunghe, cateteri Midline) e definire le corrette tecniche di posizionamento e mantenimento.

Corretto utilizzo dei dispositivi di accesso venoso periferico

Confermato dal documento di consenso ERPIUP 2021 che il dispositivo di accesso intravenoso periferico più utilizzato è la cannula corta - realizzata in poliuretano o in politetrafluoroetilene (PTFE), con un calibro compreso tra i 26 e 14G e una lunghezza solitamente non superiore a 5,4 cm - le principali linee guida internazionali5 forniscono una panoramica delle attuali raccomandazioni sull'indicazione, l'inserimento, la gestione e la rimozione dei dispositivi di accesso venoso periferico.

Preparazione e valutazione

RaccomandazioniINS 2021RCN 2016EPIC3 2014CDC 2011
Scegliere l'estremità superiore
per l'inserimento
XXXX
Evitare le aree di flessioneXX
Designare personale appositamente
formato su terapia EV
XXX
Calibro minimo indicatoXX

Inserimento

RaccomandazioniINS 2021RCN 2016EPIC3 2014CDC 2011
Preparare la pelle con antisettico,
lasciare asciugare il sito
XXXX
Utiizzare tecnica asetticaXXXX

Fissare e proteggere

RaccomandazioniINS 2021RCN 2016EPIC3 2014CDC 2011
Utilizzare medicazione sterile in poliuretano,
trasparente e semipermeabile
XXXX
Cambiare medicazione ogni 7 giorni
o prima se compromessa
XXXX
Ispezionare il sito d'inserzione ad intervalli regolariXXX
Monitorare e tenere traccia degli eventi avversi regolarmenteXX
Disinfettare la porta di accesso prima di ogni utilizzoXXXX
Considerare l'uso di tappi disinfettanti sui siti di accessoXX

Rimozione

RaccomandazioniINS 2021RCN 2016EPIC3 2014CDC 2011
Rimuovere i cateteri PIV quando clinicamente indicatoXXX
Rimuovere i cateteri posizionati in emergenza
il prima possibile, entro 24-48 ore
XX

Adottare buone pratiche di gestione dell'accesso venoso periferico implica, in sintesi, la scelta accurata della sede di posizionamento (sono da preferire le zone dell'avambraccio o della parte superiore del braccio, evitando le aree di flessione), l'uso di dispositivi adeguati per la prevenzione delle complicanze e delle infezioni (disinfettare la cute con clorexidina al 2% in alcool isopropilico al 70% frizionando per 30 secondi e lasciando asciugare per 30 secondi; dopo l'inserimento il dispositivo deve essere fissato con una medicazione sterile semipermeabile trasparente; considerare l'utilizzo di una medicazione ad azione antimicrobica per ridurre la contaminazione della cute; disinfettare le porte di accesso della linea venosa utilizzando la tecnica "scrub the hub" o tappini disinfettanti; ispezione visiva quotidiana del punto di inserzione), nonché la valutazione appropriata dei tempi di permanenza4. Solo così si possono garantire sicurezza del paziente, efficacia del trattamento terapeutico ed efficientamento dell’aspetto costo-efficacia.