Malattia di Rosai-Dorfman

Scritto il 05/12/2025
da Chiara Sideri

La Malattia di Rosai-Dorfman (RDD), definita anche “istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva”, è un disordine raro caratterizzato dall’accumulo anomalo di istiociti non-Langerhans nei linfonodi e, in una quota significativa di casi, anche in sedi extranodali. Le più recenti classificazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la collocano tra le neoplasie di origine mieloide/macrofagica, spesso associate a mutazioni della via MAPK, un aggiornamento che riflette la crescente comprensione dei suoi meccanismi molecolari.

Epidemiologia ed eziopatogenesi

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La malattia di Rosai-Dorfman è una patologia rara che colpisce prevalentemente bambini, adolescenti e giovani adulti, spesso entro la terza decade di vita. L’incidenza reale è difficile da stimare, anche per la variabilità con cui la malattia si manifesta.

Non emerge un chiaro predominio di genere, mentre inizialmente veniva riportata più frequentemente nella popolazione africana.

L’eziologia rimane incerta. Tra le ipotesi più discusse figurano una disregolazione immunitaria in risposta a un possibile trigger infettivo e l’esistenza di fattori genetici predisponenti.

Le recenti analisi di sequenziamento hanno individuato, in alcuni pazienti, mutazioni nella via di segnalazione MAPK, confermando una componente proliferativa clonale almeno in una parte dei casi.

Diagnosi

La diagnosi si basa sulla biopsia del linfonodo o della lesione interessata, che rappresenta l’unico metodo in grado di confermare con certezza la malattia. All’esame istologico si osservano istiociti di grandi dimensioni, con citoplasma eosinofilo e il tipico fenomeno dell’emperipolesi, ossia la presenza di linfociti, plasmacellule o altre cellule inglobate ma non distrutte, un elemento considerato altamente suggestivo di RDD.

Il profilo immunoistochimico è altrettanto caratteristico: gli istiociti risultano positivi per S-100 e CD68, mentre la negatività per CD1a permette di differenziare la Rosai-Dorfman dalle istiocitosi a cellule di Langerhans, che condividono alcuni aspetti morfologici ma richiedono percorsi terapeutici differenti.

Gli esami radiologici, in particolare TC, RM e PET/CT, assumono un ruolo fondamentale nella stadiazione e nella valutazione dell’estensione della malattia, soprattutto quando si sospetta un coinvolgimento multifocale o sedi extranodali difficilmente valutabili con il solo esame obiettivo.

Prognosi

La prognosi della RDD è nella maggior parte dei casi favorevole, grazie a un decorso spesso autolimitante e non rapidamente progressivo. Una parte dei pazienti sperimenta una regressione spontanea della malattia senza necessità di trattamento.


Quando però l’interessamento è extranodale esteso o coinvolge sedi funzionalmente critiche, il quadro clinico tende a diventare più complesso: possono emergere evoluzioni croniche, periodi di stabilizzazione alternati a recidive e una maggiore necessità di intervento terapeutico.

I fattori associati a una prognosi meno favorevole includono:

  • insorgenza in età adulta
  • coinvolgimento multifocale di più organi
  • localizzazioni a carico del sistema nervoso centrale, considerate fra le più impegnative per rischio di deficit neurologici e risposta variabile alle terapie

Nel complesso, una gestione multidisciplinare e un follow-up regolare consentono di intercettare precocemente le riattivazioni di malattia e ottimizzare la risposta alle diverse strategie terapeutiche.

Ricerca e prospettive future

La crescente comprensione delle basi molecolari della RDD, in particolare il ruolo delle mutazioni della via MAPK, sta aprendo scenari terapeutici inediti. Le terapie target, inizialmente riservate ai casi refrattari, stanno progressivamente assumendo un ruolo più strutturato nel management della malattia, modificandone in parte la storia naturale e offrendo opzioni più selettive rispetto ai trattamenti tradizionali.

Tuttavia, la rarità della RDD rimane una sfida significativa: i campioni ridotti e la grande eterogeneità clinica limitano la possibilità di condurre studi controllati di ampia scala. Per questo motivo, la creazione di registri internazionali, la standardizzazione dei criteri diagnostici e la collaborazione tra centri specialistici rappresentano passi essenziali per affinare la conoscenza dell’epidemiologia, identificare sottotipi clinico-molecolari e valutare in modo più robusto l’efficacia delle diverse strategie terapeutiche.

In prospettiva, l’integrazione tra dati clinici, istopatologici e genetici potrebbe consentire un approccio realmente personalizzato, con terapie mirate alla specifica alterazione molecolare di ciascun paziente.