Gennaro Rocco, direttore del Centro di eccellenza per la cultura e la ricerca infermieristica, ex presidente dell’Ipasvi di Roma e coordinatore del consiglio di indirizzo di Enpapi, è stato scelto tra i 173 nuovi membri dell’American Academy of Nursing.

Gennaro Rocco nell’American Academy of Nursing

Gennaro Rocco

Cosa rappresenta per lei e per la professione infermieristica questo riconoscimento?

Credo sia un bel riconoscimento che arriva da una delle istituzioni più prestigiose che come infermieri abbiamo a livello globale. Il fatto di essere stato selezionato rappresenta un riconoscimento per tutto ciò che l’infermieristica e gli infermieri italiani hanno fatto in questi ultimi lustri.

Cosa pensano gli americani dell’infermieristica italiana?

Sono rimasti molto sorpresi per come siamo riusciti a modificare tutta una serie di norme in un arco temporale relativamente breve. Negli Usa ancora oggi si stanno confrontando con uno degli elementi più problematici di questa professione, che è il passaggio a una formazione prevalentemente accademica. Ancora oggi negli Usa vengono aperte nuove scuole professionali, mentre da noi questa fase è stata superata grazie a una legislazione che è intervenuta in maniera chiara e inequivocabile.

Di cosa va orgoglioso?

Sono orgoglioso del fatto che abbiano riconosciuto tutta la nostra attività nell’ambito della ricerca. Cosa non facile in un paese come l’Italia, dove c’è scarsa attenzione ai progetti di ricerca in generale e soprattutto a quelli riferiti alla nostra professione. Gli stessi americani sono rimasti sorpresi delle iniziative promesse dal Centro di eccellenza per la cultura e la ricerca infermieristica e dalle iniziative messe in campo per la promozione della transculturalità della nostra professione. In pratica, vedono questo tipo di approccio allo sviluppo delle politiche professionali come un modello da seguire.

Come pensa di poter portare il contributo dell’infermieristica italiana all’interno dell’American Academy of Nursing?

Noi italiani rappresentiamo un riferimento e un collegamento molto forte tra vecchio e nuovo continente. E loro sono molto curiosi di sapere cosa succede da noi, anche perché siamo un ponte con altre aree, come quella dei Balcani, una realtà che a loro sfugge. Credo che noi italiani possiamo essere veramente utili all’interno dell’Accademia per rendere sempre più globale e integrato il sistema di sviluppo della professione infermieristica. Certo abbiamo le nostre criticità, ma se c’è una cosa che ho appreso nei rapporti internazionali è che i nostri problemi sono problemi comuni a molte realtà. E quindi essere lì, ora in questo momento, è una grande opportunità anche per noi.

Che obiettivo si è prefissato?

Vorrei fare in modo che sempre più italiani possano dare il loro contributo in questo contesto, vorrei una partecipazione su più fronti. Meglio essere in tanti che in pochi, perché quello dell’Accademia è un laboratorio dove si incontrano i maggiori leader ed è una occasione rara.

Infatti c’è sono un’altra italiana, la dottoressa Loredana Sasso entrata nel 2016. Pochi ma buoni ci verrebbe da dire …

Siamo già in due e possiamo portare una voce in sincronia perché condividiamo tanti valori e da sempre.

Come ha ricevuto la notizia?

È stato bellissimo. In un mondo fatto ormai di pec ed email, mi è arrivata una lettera formale, cartacea, con firma autografa e carta intestata. Una bellissima sorpresa che ho condiviso immediatamente con i miei figli.

Quindi non se l’aspettava?

No, non me l’aspettavo. È vero che seguo l’American Academy of Nursing da tempo, ma per poter entrare bisogna che qualche membro ti presenti. Un mio amico lo ha fatto senza dirmi nulla e come lui altre persone, tutte persone che stimo tantissimo e questo mi rende molto orgoglioso.

Cosa auspica per l’infermieristica italiana del futuro?

Che finalmente possa esprimere nella clinica e nell’organizzazione del lavoro tutta le potenzialità che ha. Perché l’infermieristica italiana ha un potenziale straordinario, ma il mio grande cruccio è che non riesce a esprimere questo potenziale nella pratica quotidiana. Possiamo fare davvero tanto per la gente, ma le criticità, che derivano soprattutto da un’organizzazione del lavoro troppo antica, impediscono la creazione delle condizioni idonee affinché gli infermieri possano veramente mettere in pratica tutto ciò che sanno e che hanno studiato. Poi, credo che non sia più possibile pensare alla professione come infermiere senza lo sviluppo delle professioni riconosciute e delle competenze specialistiche.

Su questo qualche modifica dovrebbe arrivare con il nuovo contratto

Sì, ma sono i cittadini che determinano il cambiamento. La gente avrà sempre più bisogno di chi si prenderà cura di loro e gli infermieri incarnano il processo di assistenza. Lo hanno già riconosciuto gli italiani in un recente sondaggio, per cui il 90% della popolazione ha piena fiducia negli infermieri. Quindi la vera sfida sarà vinta con l’alleanza con i cittadini.

Infine, auspico più attenzione alla ricerca clinica fatta dagli infermieri. Migliaia di professionisti esercitano questa attività e abbiamo le più grandi scuole di dottorato in Italia. Ma un mondo che cresce dal punto di vista culturale poi trova ostacoli anche solo ad essere presente nel mondo accademico. Tanto per fare un esempio servirebbero più cattedre e più professori associati infermieri.