È accaduto giorni fa, nel campus dell’Università Azad di Teheran. Una ragazza, per protesta, per reazione, per disperazione anche, si è spogliata in pubblico per rimanere solo in mutande e reggiseno. Di lei non si sa più nulla, dopo che è stata prelevata dalle forze di sicurezza. Pare sia ricoverata in una clinica psichiatrica. Il timore riguarda la sua incolumità. È ancora viva? È stata violentata, malmenata, seviziata? O cosa? Chi ha fede in un qualche dio che non chieda come sempre il sacrificio del corpo delle donne preghi più che può per la sorte di
.
Non so quanto il gesto di Ahoo Daryaei potrà servire a qualcosa Ahoo Daryaei ha protestato spogliandosi in pubblico nel campus universitario Azad di Teheran.
Chi ha fede nell’uomo, quando non è quella bestia che tortura, stupra , bombarda, ruba e mente, si auguri che il gesto della giovane iraniana non le sia fatale.
Chi ha fede nella ragione e nella giustizia cerchi di non perderla proprio ora perché Ahoo Daryaei, le tante Ahoo Daryaei esistenti, ne hanno un tremendo bisogno. E non è facile rendersene conto. Io non me ne rendo conto ora, mentre scrivo e prima quando video e fotogrammi mi hanno trascinato in un profondo sconforto.
Quando il ventunenne cecoslovacco Jan Palach si arse vivo sulla Piazza San Venceslao di Praga avevo sei anni. Il suo gesto di ribellione estrema, contro l’invasione sovietica del suo paese, già allora, mi fece profondamente male.
Ho sempre pensato che sia giusto ribellarsi ad un torto, qualunque esso sia . Ribellarsi come forma prima ed alta per porre freno al rischio di avere altri torti, per arrestare i soprusi di ogni genere, fermare derive violente e lottare per la giustizia sociale.
Ribellarsi, anche quando può sembrare un gesto di follia, e nessuno riuscirà a capirlo; men che meno approvarlo. Ribellarsi e cadere nel dimenticatoio della tirannide di un aguzzino. George Orwell in “1984” narra della follia del potere, del potere della paura e di come il potere abbia paura di ogni tipo di follia letta come prima e maggiore ribellione.
Non so se possa essere appieno compreso tutto questo, in un mondo dove la sofferenza e la malattia sono tornate ad essere prodotti di mercato ed oggetto di politiche securitarie. Negli anni ’30 il sociologo statunitense Talcott Parsons parlava della malattia come devianza , perché tale era registrata da una società che voleva tutto sotto controllo, dalla catena di montaggio fordista, al consenso muto verso le dittature fasciste, all’orrore dei campi di sterminio.
Non mi interessa sapere cosa possano dire gli uomini occidentali in merito alla vicenda di Ahoo Daryaei. Vorrei gridare dentro di me per conoscere la solitudine e la disperazione di chi in Iran, ed in ogni parte del mondo, piange per Ahoo Daryaei perché non riesce a trovare il coraggio di piangere ed urlare in pubblico la rabbia, la vergogna, il senso profondo di disfatta morale.
Cosa posso dire Io, che me ne sto stretto in questa Italietta meschina e bugiarda, ladra e cialtrona. Spero, come un condannato a morte può sperare, che qualcuno vicino ad Ahoo Daryaei possa aiutarla. Che una donna le asciughi almeno una lacrima o una dottoressa le lenisca un dolore.
Che un’infermiera le medichi un'escoriazione o un inserviente le cambi la biancheria umida di paura e sofferenza. Che qualcuno le sia vicino e non l’abbandoni nel reparto di psichiatria femminile – se lì è ricoverata – o nella sezione di un carcere femminile – se lì è detenuta – o in qualsiasi altro posto.
Se è ancora viva . Se è ancora viva grido alla sorte, qualsiasi essa sia, o qualsiasi cosa questa parola significhi, che chi le è vicino ed ha ancora un piccolo spazio di amore nel proprio cuore, cerchi di salvare il suo corpo dalla sofferenza, la sua mente dal terrore, la bellezza della sua ribellione dalla bruttezza di coloro che l’hanno imprigionata con la stessa malvagità che ogni governante su questa terra sa ben adoperare per garantire privilegi e sopraffazione.
Non so quanto il gesto di Ahoo Daryaei potrà servire a qualcosa. Probabilmente permetterà a qualche ipocrita politico o governante incapace di strumentalizzare il sacrificio di una ragazzina disperata.
Qualche ciarlatano parlerà di libertà e di diritti, e se ne tornerà poi al caldo delle sue case, delle sue cose, nelle sue chiese. Forse, da qualche parte, è già pronta una guerra santa di liberazione. Da una parte e dall’altra. Mi auguro che qualcuno rimproveri la retorica di queste righe perché così, almeno per un attimo di più, Ahoo Daryaei , potrà restare ancora fra noi.
Ahoo Daryaei i social restituiscono l’immagine del tuo corpo fragile circondato da ombre tanto luride quanto indifferenti. Difficile vedere l’espressione del tuo volto, gli orizzonti dei tuoi occhi, ma chiunque su questa terra è una persona giusta li può immaginare, sognare, desiderare, e farli propri.