Il film ad episodi “I nuovi mostri” del 1977, è uno dei tanti capolavori della commedia italiana che ha avuto il merito di sbeffeggiare e denunciare i lati negativi del Bel Paese. Nella pellicola si alternano episodi, ricchi di cinismo e ipocrisia, piccole meschinerie italiote e provincialismo ignorante. Ed anche qualche narrazione dell’esistente stupidità classista, quanto arrogante, come nell’episodio: “Pronto soccorso”, con l’interpretazione di Alberto Sordi nei panni di un nobile romano che si ritrova, per aver prestato aiuto ad un traumatizzato, a vagare di notte per i vari ospedali – e relativi Pronto soccorso - della capitale. Ad ogni presidio, con una scusa o l’altra, viene negata l’assistenza fino a quando il nobiluomo non trova altra soluzione che abbandonare il malconcio – così lui definisce il personaggio soccorso – nel punto dove lo aveva raccolto, rinunciando alla sua opera caritativa. Un racconto di quasi mezzo secolo fa che, i più, leggevano come un’iperbole narrativa per veicolare l’entrata in vigore di un cambiamento storico della sanità italiana – e dell’emergenza – attraverso l’entrata in vigore del Ssn.
La dura realtà attuale dei servizi di emergenza La carenza resta e, in non poche occasioni, il rischio è quello di ritrovare, come nella fase attuale, a bordo delle ambulanze, solo il personale infermieristico e quello adibito al trasporto .
A distanza di ben 47 anni da allora, l’esagerazione filmica rischia di essere inferiore alla dura realtà attuale. Non c’è sistema sanitario regionale che non abbia visto aggravarsi i problemi legati alla gestione dell’emergenza a causa della carenza cronica di personale , specie quello medico.
In molti casi si è ricorso all’uso di prestazioni a gettone, costosissime e disfunzionali sul piano di una visione globale del sistema e di una riconosciuta capacità di gestione delle criticità. In tal senso è significativo il Corriere Adriatico – nelle Marche, che titolava un articolo in data 25 luglio: “Medici pagati più del triplo ma meno esperti. Gapmed, che recluta professionisti per il 118 di Pesaro Urbino, offre anche la casa al mare”.
Il periodo preso in considerazione dovrebbe essere quello estivo dal primo agosto al 15 settembre per turni di 12 ore (8–20 oppure 20-8) pagati ognuno 1000 euro per una quota oraria, in pratica, di 84 euro all’ora, a fronte dei 25 previsti per i medici convenzionati, con abilitazione da corsi per l’emergenza, o dei 36 euro dei medici del Ssr addetti al 118 con un’anzianità di 15 anni, ad esempio.
E pensare che c’è chi grida allo scandalo se qualcuno parla di salario minimo garantito per chi rischia di morire d’infarto mentre raccoglie pomodori sotto il sole. Come se non bastasse, viene da chiedersi: E per il prossimo autunno?
La carenza resta e, in non poche occasioni, il rischio è quello di ritrovare, come nella fase attuale, a bordo delle ambulanze, solo il personale infermieristico e quello adibito al trasporto. “La metà delle notti senza medico. A bordo del 118 solo l’infermiere”, titolava sempre il Corriere Adriatico lo scorso 21 luglio.
Le organizzazioni dei professionisti sottolineano come gli infermieri ad ogni modo sono preparati ad affrontare le richieste dei pazienti, mentre, al contrario, i gettonisti non necessariamente possono essere portatori di un sapere professionale funzionale all’altezza delle richieste di intervento derivate dall’emergenza.
Un collega, da impegnato in area critica, ha affermato: L’infermiere del 118 ha tutte le competenze tecniche e sanitarie necessarie ad affrontare le situazioni di emergenza/urgenza. È un esperto in materia grazie all’esperienza ed alla formazione continua e, quando si trova sul mezzo, riesce comunque a portare a termine anche interventi complessi, coadiuvato dall’autista (anch’esso formato al soccorso). Ovvio che questo non può bastare. Ovvio oltremodo che l’organizzazione, i protocolli d’intervento e l’autonomia riconosciuta dovrebbero essere meglio definiti ed uniformi su tutto il territorio, regionale e nazionale .
Riassumendo dunque la situazione dell’emergenza , questa è caratterizzata da:
il discutibile, e sicuramente dispendioso, meccanismo delle prestazioni a gettoni l’incapacità di affrontare in maniera funzionale la carenza di personale medico (sia dell’area dell’emergenza, sia sul territorio o in ospedale) le difficoltà correlata al sempre crescente impegno richiesto agli infermieri in termini quantitativi e qualitativi l’assenza totale di una visione di insieme che consideri educazione sanitaria, welfare territoriale, sostegno al reddito e all’abitazione come problemi che, se non risolti, portano più presto che tardi, a bussare alle porte delle strutture dell’emergenza perché sono l’ultima risorsa cui rivolgersi in assenza di uno stato sociale sostanzialmente liquefatto sotto i colpi del liberismo dominante da trent’anni La situazione è oltremodo grave . Sul territorio a fronte della carenza di posti letto (tagliati) del basso numero di medici convenzionati, di servizi (tagliati) e di prestazioni (privatizzate o cancellate), la risposta sanitaria demandata solo agli accessi in Pronto soccorso o all’area dell’Emergenza denota un fallimento verticale delle strategie adottate fino ad oggi che in pratica si sono rivelate per quello che sono: una contrazione criminale dell’offerta di salute, tempi di attesa interminabili, codici colore di ogni tipo, rinunce o ritorni al Pronto soccorso per una gestione sempre più non rispondente alle esigenze dell’utenza.
Dell’universalismo e dell’efficienza del Ssn ci sono rimasti il coraggio e la determinazione dei sanitari in servizio, la loro preparazione e la loro consapevolezza di essere gli ultimi, ed inutili, agnelli sacrificali (assieme agli utenti) sull’altare del profitto