Modifica temperatura target in coma post arresto cardiaco

Scritto il 02/05/2023

da Giacomo Sebastiano Canova

Le linee guida sul controllo della temperatura per i sopravvissuti all'arresto cardiaco in coma sono state recentemente modificate dalla raccomandazione di una gestione mirata della temperatura (32-36 °C) al controllo della febbre (≤ 37,7 °C). Alla luce di ciò alcuni ricercatori hanno studiato l'effetto dell'implementazione di una rigorosa strategia di controllo della febbre, l'aderenza al protocollo e gli outcome dei pazienti in un ospedale finlandese.

Coma post ACR: studio pre-post su modifica temperatura target

Studio pre-post sulla modifica della temperatura target da 36°C a rigorosa prevenzione della febbre pazienti in coma sopravvissuti dopo un arresto cardiaco.

Nell'ultimo decennio ci sono stati importanti cambiamenti nelle conoscenze sull'ipotermia dopo un arresto cardiaco.

Tutto ha avuto origine dalla pubblicazione nel 2013 dello studio TTM1, il quale ha portato a un cambiamento nella pratica e al passaggio verso l’obiettivo dell'ipotermia lieve.

Successivamente, diversi studi di coorte hanno riportato una minore aderenza complessiva al protocollo, una maggiore incidenza di febbre e alcuni studi hanno anche riportato un'associazione con esiti peggiori per i pazienti.

Si è arrivati così nel 2021 alla pubblicazione dello studio TTM2, il quale ha confrontato il trattamento mirato dell'ipotermia (33 °C) con il controllo precoce della febbre. Alla luce di ciò, sia le linee guida aggiornate dell'European Resuscitation Council (ERC) e dell’European Society of Intensive Care Medicine (ESICM) hanno raccomandato di prevenire attivamente la febbre (>37,7 °C) in contrasto con il controllo della temperatura precedentemente raccomandato tra 32-36 °C tra i sopravvissuti in coma all'arresto cardiaco.

Mentre i protocolli di temperatura stanno oggi, anche se in modo variabile, cambiando da obiettivi ipotermici al controllo della febbre, sono aumentate le preoccupazioni su come gli obiettivi di controllo della febbre si traducano in pratica.

Alla luce di ciò alcuni ricercatori hanno pubblicato uno studio pre-post nel quale hanno esaminato come questo cambiamento abbia influito sull'aderenza generale al protocollo, sulla prevalenza della febbre e sugli esiti dei pazienti in un ospedale finlandese.

La coorte finale dello studio era composta da 120 pazienti (77 pazienti nella coorte ≤36 °C e 43 pazienti nella coorte ≤37 °C). Gli arresti cardiaci sono stati osservati più frequentemente nella coorte ≤37 °C, mentre tutte le altre variabili erano comparabili tra i gruppi.

L'uso di sedativi, noradrenalina e miorilassanti era comparabile tra i gruppi. La saturazione mediana di ossigeno nel sangue, la pressione arteriosa media, i gas nel sangue arterioso ei livelli di lattato erano simili.

I dispositivi di raffreddamento esterni sono stati utilizzati nel 90% rispetto al 44% dei pazienti ≤36 °C rispetto a ≤37 °C, e se un dispositivo è stato utilizzato nella coorte ≤37 °C è avvenuto mediamente 7,9 ore dopo rispetto alla coorte ≤36 coorte °C. Il paracetamolo è stato prescritto più frequentemente nella coorte ≤37 °C.

In generale, le temperature target sono state ben mantenute in entrambi i gruppi. La febbre è stata evitata il 99% delle volte in entrambi i gruppi.

Le temperature corporee sono aumentate in entrambi i gruppi 37-72 ore dopo l'arresto cardiaco (temperature mediane 37.3°C vs. 37.6°C, p = 0.176) e la febbre è stata registrata nella maggior parte dei pazienti in entrambi i gruppi (68% vs. 74%, p = 0.481).

Non ci sono state differenze negli outcome dei pazienti tra i due gruppi. Utilizzando un modello di regressione multivariabile, il supporto vitale di base immediato (OR 4.4, IC 95% 1.2-16), il ritmo primario defibrillabile (OR 8.8, IC 95% 1.4-56) e il basso punteggio SAPS II (OR 0.92, IC 95% 0.88-0.98) sono stati associati alla categoria di prestazioni cerebrali 1–2 a 30 giorni.

Alla luce di questi dati i ricercatori hanno concluso che la transizione al rigoroso protocollo di normotermia non ha comportato una maggiore prevalenza di febbre, una minore aderenza al protocollo o peggiori esiti dei pazienti tra i sopravvissuti all'arresto cardiaco in coma.