Il mio viaggio nella realtà di una legge forse utopistica e mai compresa
RSA. Residenze Sanitarie Assitenziali. Sono strutture presenti sul territorio italiano dalla metà degli anni novanta, che ospitano per brevi o lunghi periodi persone non autosufficienti che non possono essere assistite in casa o che necessitano di assistenza specifica.
Conoscerete tutti, per via diretta o indiretta che sia, questa tipologia di strutture, ma chissà che esperienza ne abbiate fatto. Io, purtroppo, ci ho visto il fallimento della legge Basaglia.
L’anello debole nell’applicazione della Basaglia sembrano essere proprio quei servizi sul territorio che avrebbero dovuto fare prevenzione, cura e riabilitazione e che invece non sono stati adeguatamente potenziati. Per cui spesso il ricovero rappresenta l’unica soluzione per un malato grave, che nel migliore dei casi entra ed esce dall’ospedale, nel peggiore resta a vita in una clinica.
Un moderno manicomio travestito da RSA
La mia esperienza in una RSA mi ha avvicinato proprio a questa triste realtà. Ho visto il fallimento della legge Basaglia con i miei occhi di Oss in una RSA del sud Italia: una struttura fatiscente, 30 posti letto, dei quali una decina occupati da malati psichiatrici rinchiusi in una struttura per pazienti non autosufficienti, gestiti da personale non preparato né formato per gestire persone con disturbi di salute mentale.
Quando entrai per la prima volta in una prigione ero studente in medicina. Lottavo contro il fascismo e fui incarcerato. Mi ricordo della situazione allucinante che mi trovai a vivere. Era l’ora in cui venivano portati fuori i buglioni dalle varie celle. Vi era un odore terribile, un’odore di morte. Mi ricordo di aver avuto la sensazione di essere in una sala di anatomia dove si dissezionano i cadaveri. Quattro cinque anni dopo la laurea, divenni Direttore di un manicomio e, quando entrai li per la prima volta, sentii quella medesima sensazione. Non vi era l’odore di merda, ma vi era un odore simbolico di merda.
Mi trovai in una situazione analoga, una intenzione ferma di distruggere quella istituzione. Non era un problema personale, era la certezza che l’istituzione era completamente assurda, che serviva solamente allo psichiatra che li lavorava per percepire lo stipendio alla fine del mese.
Ecco, la descrizione che Basaglia dava dell’odore dei manicomi io l’ho ritrovata in quella struttura. Pazienti abbandonati a loro stessi, la difficoltà nel dover gestire patologie imprevedibili e a volte ingestibili come la schizofrenia con strumenti che a malapena sarebbero bastati per gestire patologie croniche tipiche dell’anziano.
Ed è così che si ripete la storia: con contenzioni e trattamenti farmacologici che vengono impiegati per evitare il peggio agli altri ospiti della struttura e agli stessi operatori.
Scene a cui non avrei mai pensato di poter assistere negli anni 2000: la riabilitazione e il reinserimento nella società, fulcro della legge 180, abbattuti dalla triste realtà di quell’odore di feci spalmate sui muri dai pazienti, che rimaneva impresso nella mia mente per giorni e giorni tanto che al rientro a casa non riuscivo nemmeno a mangiare.
Nessuna traccia di terapia occupazionale, mentre vedevo i malati contenuti o sedati, l’insufficienza degli operatori presenti in struttura, l’emarginazione di quei pazienti che erano troppo complessi per poter essere aiutati.
Scene che non potrò mai dimenticare.
Io ho detto che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere, perché fa diventare razionale l'irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita.
Purtroppo davanti ai miei occhi è chiaro che la società non ha ancora accettato la follia alla stessa stregua della ragione. Il malato psichiatrico è ancora razionalizzato solo come "malato". Fin quando la società non cambierà il modo di vedere la follia e di gestirla in modo differente, il rischio è quello che continueremo ad avere strutture sanitarie che “internano” malati psichiatrici esattamente come avveniva prima della Legge 180, tra lobotomie, elettroshock e ghettizzazione.