Corte Ue: contenimento spesa pubblica non può intaccare diritto alle ferie
Il caso relativo alla vertenza riguardava un funzionario del Comune di Copertino che aveva chiesto il riconoscimento del diritto ad una indennità sostitutiva delle ferie maturate ma non godute, pari a 79 giorni, all'atto delle sue dimissioni volontarie per andare in pensione anticipata.
Il comune aveva rifiutato tale richiesta di pagamento in quanto sosteneva che il dipendente fosse consapevole del suo obbligo di fruire, prima della cessazione del rapporto di lavoro, di tutti i giorni di ferie ancora residui che gli spettavano.
Con questa sentenza la Corte Europea conferma che le ferie sono un diritto inalienabile e, secondo il principio costituzionale, sono irrinunciabili. Esse vanno fruite regolarmente oppure monetizzate.
Il diritto alla monetizzazione è inteso come un credito da risarcire. Al lavoratore che non abbia potuto fruire di tutti i giorni di ferie annuali spettanti spetta pertanto un'indennità finanziaria. Le pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea hanno efficacia retroattiva e valore verso tutti. La prescrizione è decennale.
La Corte Europea ha pertanto confermato l'incompatibilità del divieto di monetizzare le ferie non usufruite, previsto nella normativa italiana per i dipendenti pubblici, con il diritto europeo. L'Italia non rispetta quindi la Direttiva Lavoro in vigore in tutta Europa. L'articolo 5 comma 8 della legge 135/2012 sulla spending review, che vieta la monetizzazione delle ferie, viola non solo le norme comunitarie (articolo 7 della direttiva 2003/88/CE), ma anche l'articolo 36 della Costituzione italiana: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge
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Il divieto di pagamento posto nel 2012 dalla legge italiana non era stato tuttavia ritenuto incostituzionale dalla Consulta. La sentenza n.95 del 6 maggio 2016 aveva di fatto cercato di salvare la disposizione legislativa, inducendo la Cassazione a seguire sempre le sue indicazioni.
La questione della monetizzazione delle ferie non godute è una criticità aperta che l'Italia si porta avanti da un decennio e che nemmeno i contratti collettivi del lavoro, pur accennando alla problematica, non hanno risolto in quanto si sono limitati ad esprimere pareri senza dare seguito a disposizioni attuative.
Ora i giudici nazionali della Cassazione dovranno adeguarsi alla giurisprudenza comunitaria. I giudici europei bocciano dunque il divieto di pagamento delle ferie non godute anche se fosse motivato da ragioni di contenimento della spesa pubblica. Ritengono che il diritto di retribuzione delle ferie non godute non può dipendere in alcun caso da considerazioni economiche. Neppure le ragioni attinenti alle esigenze organizzative del datore di lavoro possono vanificare tale diritto.
Il lavoratore ha solo l'onere di provare di non aver goduto delle ferie nel corso del rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà. E il datore di lavoro ha l'obbligo di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia messo effettivamente nella condizione di fruire delle ferie annuali retribuite di cui, per legge e per contratto, ha diritto.
I giudici hanno stabilito che qualora il datore di lavoro dimostri che sia stato il dipendente, deliberatamente e consapevolmente, a non volere godere delle ferie nonostante sia stato messo nelle condizioni di esercitare in modo effettivo il proprio diritto, allora il lavoratore non potrà ottenere il pagamento delle ferie residue una volta cessato il rapporto di lavoro. Dello stesso avviso era del resto un recente pronunciamento della Corte di Cassazione (n.15652/2018) qualora il lavoratore respinga immotivatamente il periodo di riposo garantito dal datore di lavoro.