Ogni peggioramento economico a carico di qualsiasi fascia della popolazione di questo paese, presto o tardi, più presto che tardi, avrà ricadute pesanti sulla lievitazione della domanda di salute. I sanitari non dovrebbero dunque preoccuparsi solo quando vengono tagliati i loro redditi e le loro pensioni, ma quando questo è a carico di qualsiasi altra fascia debole della società.
Pesanti ricadute sulla lievitazione della domanda di salute
Le modifiche apportate dal governo sulle norme pensionistiche fanno man bassa dei redditi dei futuri pensionati
Il comunicato stampa della Fnopi del 3 novembre scorso lascia pochi margini di speranza. Le modifiche apportate dal governo sulle norme pensionistiche fanno man bassa dei redditi dei futuri pensionati, spingono i pubblici dipendenti verso una fuga dalle strutture, peggiorano il quadro di tenuta sociale ed economica del paese.
La questione forse è ancora più grave di quanto non si creda, perché ad una fuoriuscita disordinata dal lavoro, per non perdere i diritti acquisiti, ci può essere qualcosa di peggiore: restare in servizio, concorrendo così ad un allungamento dei tempi per un ricambio generazionale necessario a questo paese.
Gli anziani che dovrebbero stare a casa continueranno a lavorare ed i giovani che dovrebbero iniziare un percorso di vita permarranno in un limbo socio-economico distruttivo.
A fronte di una disoccupazione giovanile – secondo il Sole24ore – registrata lo scorso settembre del 21,3%, che vede l’Italia al 6° posto, dopo Spagna, Costa Rica, Svezia, Grecia e Cina, sarà molto probabile, anche per continuare a mantenere i propri figli disoccupati, la scelta di molti lavoratori del pubblico impiego, sanitari ed infermieri compresi, di restare al lavoro per poter maturare livelli pensionistici decenti o per non scegliere uscite penalizzanti, o per entrambi i casi.
Già ora la generazione di “vecchi infermieri ” è quella più numerosa di tutte e più di un operatore su tre ha problemi di salute e prescrizioni di vario tipo.
Il quadro finale suggerisce che se da un lato la carenza infermieristica , di medici e di sanitari in generale, tenderà ad aggravarsi, e le scelte governative peggioreranno ulteriormente la situazione, non pochi saranno gli infermieri vecchi e con acciacchi che sceglieranno di restare per qualche tempo in servizio.
Facile immaginare la qualità delle prestazioni che si potrà avere, la dimensione della presa in carico e dell’accertamento dei bisogni assistenziali nella costruzione di una relazione di fiducia con un paziente, sempre più complesso da una parte, ed un operatore stanco e malato dall’altra.
Per non parlare poi dell’assenteismo che tenderà a crescere : per permessi, “104", motivi personali, malattia e “criticità varie”. Ed il ragionamento potrà essere: Se devo andare via prima e perdere dei soldi, rimango e ogni tanto vado in malattia . Risultato? Facile da immaginare.
Dunque la pensione degli infermieri sarà più povera di circa 1000 euro . A farne le spese saranno circa 31.500 dipendenti pubblici, con perdite monetarie comprese fra il 5 e il 25%. In tal senso è già rimbalzata la notizia di uno sciopero dei medici previsto per il 5 dicembre prossimo ; anche se tra i banchi dell’esecutivo diverse sono le schermaglie in merito. Alla sensazione che difficilmente potranno esserci dei correttivi si affianca la consapevolezza di una conflittualità fra dicasteri, o meglio, fra i partiti della maggioranza, come si è visto in non poche occasioni (es. gli accordi con l’Albania nella gestione dei migranti).
C’è chi promette, chi ci ripensa, e chi ha la consapevolezza che questo esecutivo sta facendo di tutto per grattare il fondo del barile alla ricerca, in ogni modo possibile, di trovare soldi per le casse dello stato. In ogni modo possibile, tranne che andare a prendere i soldi dove ci sono.
Alla fine, la mobilitazione annunciata e l’alzata di scudi a livello sanitario contro un peggioramento del quadro previdenziale, sono una buona cosa. Ma si potrebbe e si dovrebbe fare di più. Ancora nelle contestazioni sollevate manca da parte degli interessati una visione d’insieme, una visione sociale e solidale dell’attualità politica del momento, quasi al pari degli stessi signori dell’esecutivo.
Ogni peggioramento economico a carico di qualsiasi fascia della popolazione di questo paese, presto o tardi, più presto che tardi, avrà ricadute pesanti sulla lievitazione della domanda di salute. I sanitari non dovrebbero dunque preoccuparsi solo quando vengono tagliati i loro redditi e le loro pensioni, ma quando questo è a carico di qualsiasi altra fascia debole della società.
La questione, grave, ma meno complessa di quanto si possa credere, parte dalla consapevolezza che in corsia o in Pronto soccorso, in ambulatorio o sul territorio, con questa ulteriore stretta previdenziale, non ritroveremo solo infermieri anziani, incerti nelle pratiche e con diversi acciacchi, ma anche famiglie più fragili, con meno risorse per aiutare i loro cari malati e sostenere il lavoro assistenziale.
Lavoro costruito nei confronti di una popolazione che sarà sempre meno in grado di affrontare i propri problemi di salute. Poco potranno fare le strategie di coping e di empowerment, ed ogni altro moderno sistema di aiuto a fronte di un vecchio mondo arretrato, in senso generazionale, politico ed economico, che avanza inesorabilmente.
La compliance terapeutica, già difficile molto spesso oggi, sarà ancora resa più aleatoria da un sistema socio-sanitario sempre più efficace ed efficiente, ma soprattutto presente, a macchia di leopardo nella vita della comunità. Molti storici, sociologi ed economisti hanno spesso sostenuto che il sistema pensionistico fu sviluppato da Bismarck per contenere le rivendicazioni di giustizia ed eguaglianza sociale portate avanti dal movimento operaio, rivelandosi poi utili per migliorare la qualità della vita e diffondere il benessere.
Oggi, la qualità della vita ed il benessere, ed anche le pensioni, se puoi te le paghi, il resto, in assenza di una qualsivoglia presenza rivendicativa unitaria dei lavoratori, è sempre più evidente l’arretramento in atto, a grande velocità, verso gli anni anni ’50, ma quelli del XIX secolo.