Sicurezza e qualità dell’assistenza in sala operatoria
Il lavoro in sala operatoria è caratterizzato dallo sviluppo di pratiche complesse e interdisciplinari, con una forte interdipendenza delle prestazioni individuali di alcuni professionisti con la necessità di un lavoro di squadra in condizioni spesso segnate da pressione e stress. Per queste caratteristiche le sale operatorie sono considerate scenari ad alto rischio, estremamente sensibili ad errori.
Le complicanze chirurgiche rappresentano gran parte dei decessi e dei danni (temporanei o permanenti) causati dal processo assistenziale, considerato evitabile. Per questo motivo, nel 2004, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato una campagna dal titolo "Safe Surgeries Save Lives" volta a risvegliare la consapevolezza professionale e l'impegno politico per migliorare la sicurezza dell'assistenza sanitaria, sostenere delle politiche orientate alla sicurezza del paziente chirurgico e l’inizio di buone pratiche assistenziali rivolte a tal fine.
Nel contesto delle organizzazioni sanitarie, una buona pratica è quella che, attraverso la corretta applicazione di teorie, tecniche o procedure metodologiche, si ha una comprovata affidabilità per portare ad un ottimo risultato l’assistenza al paziente. Per questo, lo sviluppo di buone pratiche in ambito sanitario e infermieristico richiede, oltre alle prove scientifiche e ai fondamenti teorici, la comprensione dell'ambiente e del contesto in cui si sviluppa l’assistenza.
Pertanto, la formulazione di buone pratiche si basa sull'analisi delle azioni sviluppate dai servizi sanitari attraverso un processo di riflessione critica su ciò che funziona bene in una data situazione. Ciò richiede di pensare all'azione, al motivo e a come potrebbe essere più efficace.
Nella ricerca della qualità dell'assistenza sanitaria, l'infermiere è un professionista con il potenziale per progettare processi per il miglioramento continuo dell'assistenza, dalla pianificazione di strategie per ridurre gli errori da parte dei diversi membri del team, all'indicazione di buone pratiche assistenziali.
Questa posizione strategica degli infermieri è dovuta alla vicinanza con il paziente e alle prestazioni di questi professionisti in tutte le aree delle organizzazioni sanitarie, sia nelle attività di cura che nelle posizioni dirigenziali.
In questo contesto intraoperatorio, la ricerca della sicurezza e della qualità dell'assistenza si è configurata come un'importante attività degli infermieri. L’assistenza infermieristica è presente in tutte le fasi del periodo perioperatorio, essendo considerata lo strumento principale e fonte di cambiamento per la trasformazione del sistema sanitario, al fine di renderlo più sicuro.
Nell'ambiente chirurgico gli infermieri svolgono un ruolo chiave nel garantire che le migliori pratiche di assistenza assicurino la sicurezza dovuta al paziente. L’obiettivo di questo lavoro è creare una flow chart per la preparazione del paziente all’intervento chirurgico utilizzabile nelle pre-sale operatorie volta a migliorare la sicurezza e la qualità dell’assistenza al paziente e prevenire eventi avversi evitabili. Si raccomandano adattamenti della flow chart che le rendano compatibili con le specificità dell'organizzazione che le adotta.
Accoglienza/Identificazione Paziente
Accogliere il paziente nel blocco operatorio mettendolo a proprio agio e verificare l’identità della persona in modo attivo, ovvero chiedere al paziente di dire il proprio nome, cognome e data di nascita prima di somministrare qualsiasi farmaco che possa influenzare le sue funzioni cognitive.
Gli standard di sicurezza suggeriscono di utilizzare sempre due elementi identificativi prima di eseguire qualsiasi procedura o intervento:
- Nome/cognome/data di nascita riferito con quello del braccialetto
- Nome/cognome/data di nascita riferito con quello della lista operatoria
La Joint Commission International evidenzia che nelle Aziende Sanitarie la scorretta identificazione del paziente continua a causare errori nella somministrazione dei farmaci, nella trasfusione di emocomponenti, nelle analisi del sangue, nelle procedure chirurgiche sulla persona sbagliata.
Checklist per la sicurezza in Sala Operatoria: Sign-In
Sulla base delle raccomandazioni “Guidelines for Surgery” l’OMS ha costruito una check-list per la sicurezza in sala operatoria quale strumento guida per l’esecuzione dei controlli, a supporto delle équipe operatorie, con la finalità di favorire in modo sistematico l’aderenza all’implementazione degli standard di sicurezza raccomandati per prevenire la mortalità e le complicanze post-operatorie.
La check-list include 3 fasi: Sign In, Time Out, Sign Out, 20 item con i controlli da effettuare nel corso dell’intervento chirurgico e le relative caselle da contrassegnare dopo l’avvenuto controllo.
Nel nostro caso il Sign-In si svolge prima dell'induzione dell'anestesia e comprende i seguenti controlli:
- Conferma da parte del paziente di identità, procedura, sito e consenso: l’infermiere deve verificare verbalmente con il paziente la correttezza dell'identità, del sito, della procedura e che sia stato dato il consenso all'intervento chirurgico. Se il paziente, per la propria condizione clinica o per età, non è in grado di rispondere alle domande poste sulla corretta identificazione, è necessario coinvolgere i familiari o altre persone in grado di rispondere correttamente
- Sito dell’intervento chirurgico marcato: l’Infermiere dovrà contrassegnare la corrispettiva casella soltanto dopo aver verificato, guardando che il sito chirurgico sia stato marcato o che tale controllo non sia applicabile al tipo di intervento chirurgico (ad esempio interventi su organi singoli)
- Controlli per la sicurezza dell'anestesia: l’Infermiere dovrà controllare verbalmente con l'anestesista che siano stati effettuati i controlli per la sicurezza dell'anestesia (gestione paziente, farmaci e presidi/apparecchiature) e che sia stato confermato il corretto posizionamento e funzionamento del pulsossimetro
- Identificazione dei rischi del paziente: l’Infermiere dovrà controllare verbalmente con l'anestesista che sia stato valutato il rischio di reazioni allergiche, di difficoltà di gestione delle vie aeree, di perdita ematica
Monitoraggio del paziente
Il monitoraggio delle funzioni vitali durante anestesia loco-regionale e sedazione ha lo scopo di migliorare il livello di assistenza al paziente e di rilevare precocemente le alterazioni dei segni vitali dovute al malfunzionamento dell’apparecchiatura o agli effetti fisiologici dei farmaci impiegati.
Monitoraggio della pressione arteriosa (PA)
La pressione arteriosa rispecchia diversi fattori coinvolti nell’equilibrio emodinamico dell’organismo tra i quali il volume ematico circolante, le proprietà elastiche dei vasi arteriosi, il volume d’eiezione e la gittata cardiaca. Il monitoraggio della PA, in particolare della PAM (pressione arteriosa media), ha lo scopo di valutare la perfusione d’organo e il carico di lavoro del cuore durante tutte le fasi dell’anestesia.
Si distinguono due grandi categorie di monitoraggi con cui è possibile registrare i valori di PA in anestesia:
- Metodi non invasivi: dispositivi automatici, in cui il bracciale che si posiziona sul braccio è collegato ad un monitor che registra il valore di PAM e da questo deriva la PAS e la PAD attraverso algoritmi specifici. È possibile impostare la registrazione ad intervalli di tempo predefiniti (ogni 2, 3, 4, 5, 10… minuti) o in continuo; le linee-guida raccomandano di non superare i 10 minuti tra una misurazione e l’altra
- Metodi invasivi: le indicazioni al monitoraggio invasivo sono molteplici e possono essere dettate dal tipo di intervento chirurgico o da patologie di base. I dispositivi necessari comprendono un catetere da inserire nel lume dell’arteria (20 G per arterie radiali, omerali e pedidie; 18 G per femorale e ascellare), un circuito chiuso sterile, contenente del liquido sotto pressione, collegato da una parte alla testa del catetere e dall’altra al trasduttore, e un trasduttore che trasforma la pressione (trasmessa dal sangue arterioso nel catetere alla colonna di liquido nel circuito) in un segnale elettrico. Il circuito chiuso presenta un sistema di lavaggio in continuo lungo tutto il suo decorso e un sistema per il prelievo di campioni di sangue
Elettrocardiogramma (ECG)
La presenza del monitoraggio elettrocardiografico consente di registrare l’attività elettrica del cuore, sia essa spontanea o da PM, di rilevare la comparsa di aritmie, di ischemia miocardica e di qualsiasi alterazione della ripolarizzazione. La tecnica standard si avvale di due derivazioni principali:
- D2 che esplora il territorio cardiaco posteriore, efficace nel valutare l’onda P, la presenza di aritmie e l’ischemia inferiore
- V5 che esplora il territorio antero-laterale
Queste derivazioni possono essere registrate con 5 elettrodi (monitoraggio di D2 e V5 in contemporanea) o con 3 elettrodi (monitoraggio alternato di D2 e V5). La scelta di eseguire un monitoraggio a 3 o 5 derivazioni è strettamente legata alle condizioni cliniche del paziente e al tipo di intervento a cui sarà sottoposto: è opportuno un monitoraggio con 5 elettrodi nei pazienti con patologie cardiovascolari significative così come nel corso di interventi cardiotoracici.
Pulsossimetria
Il pulsossimetro combina la tecnologia del pletismografo e della spettrofotometria: attraverso un sensore generalmente applicato al dito indice del paziente, ma che può essere posizionato anche in altre sedi, rileva il polso arterioso (FC) e contemporaneamente analizza il colore del sangue: in base alla differenza di colorazione fra l’emoglobina ossidata e quella ridotta calcola la percentuale di saturazione in ossigeno nel sangue pulsato (SpO2).
Catetere Venoso Periferico (CVP)
La scelta del CVP richiede una valutazione razionale delle esigenze chirurgiche del paziente (chirurgia maggiore, chirurgia minore, trasfusione di sangue o emoderivati, infusione di grandi quantità di liquidi) e dell’anatomia della vena.
Nella scelta della vena periferica devono essere evitate le zone che sono sede di infezione o si trovino nelle immediate vicinanze di un’infezione e le zone che saranno punto di compressione in considerazione della posizione che assumerà il paziente sul tavolo operatorio.
Premedicazione
Lo scopo della premedicazione è quello di ridurre l’ansia e migliorare il comfort del paziente. I principali farmaci della premedicazione sono:
- Neurolettici: sono oggi poco utilizzati, uno di questi è il Droperidolo (Sintodian), un tempo usato a basse dosi (1,25-2,5 mg) nella prevenzione del PONV
- Idrossizina (Atarax): anti-H2 nei soggetti a rischio, come prevenzione degli attacchi anafilattoidi. Il dosaggio è di 1 mg/kg (nell’anziano sono in genere sufficienti 50 mg)
- Oppioidi: hanno effetto ansiolitico variabile, impiegati principalmente per ridurre la quantità di anestetico e combattere il dolore derivato da alcune manovre anestesiologiche; possono causare PONV, ritardo dello svuotamento gastrico e depressione respiratoria. Dosaggi: Fentanyl 0,05-0,1 mg e.v.
- Benzodiazepine: farmaci ideali grazie ai numerosi vantaggi quali amnesia retrograda ed efficacia ansiolitica ed agli scarsi effetti collaterali. Dosaggi: Diazepam 5-30 mg per os (più elevata velocità di assorbimento orale rispetto alle altre benzodiazepine, con effetto dopo 30-60 minuti); Midazolam 0,5 mg/kg per os (da diluire in liquidi dolci) o 1-2,5 mg e.v. (è ideale per la sua rapidità di azione e inoltre garantisce una maggiore amnesia retrograda rispetto al Diazepam); Lorazepam: 1-2,5 mg per os (ideale per la sua lunga emivita nei pazienti molto ansiosi che devono essere sottoposti ad interventi in ore avanzate della giornata, raggiunge un completo effetto 2-4 ore dopo la sua somministrazione per os)
Anestesia regionale
Fra le varie tecniche di anestesia loco-regionale i blocchi centrali consentono di ottenere adeguate condizioni chirurgiche e permettono al paziente di rimanere cosciente ed avere un rapido recupero di ogni funzione. I blocchi centrali si distinguono in subaracnoideo, peridurale ed occasionalmente anche combinata.
Le più comuni complicanze sono l’ipotensione e la bradicardia. Il meccanismo principale tramite il quale l’anestesia spinale provoca questi eventi è il blocco delle fibre simpatiche efferenti, per questo è utile avere sempre a disposizione efedrina e atropina durante queste manovre. Altre complicanze possono essere: cefalea, nausea, low back pain, fistola liquorale, ascesso epidurale o ematoma epidurale.
Il principio di ogni blocco periferico si basa sull’individuazione della struttura nervosa e sull’iniettare la dose di anestetico indicata per bloccare tutte le fibre nervose presenti nella sede di intervento chirurgico. È quindi ovvio come sia necessario conoscere l’anatomia distrettuale. Tuttavia, vi sono alcune tecniche - blocco eco-guidato o elettrostimolazione, ad esempio - che vengono in aiuto nella verifica dell’adeguato posizionamento dell’ago.
Tra i blocchi periferici abbiamo: Blocco del plesso Brachiale, Blocco dello Psoas, Nervo Femorale, Nervo Sciatico, Blocco del Plesso Lombare, Blocco Interscalenico, Blocco Sovraclavicolare, Bolcco Ascellare etc.
Tra le complicanze causate da elevati livelli ematici di anestetico locale abbiamo la depressione miocardica ed eccitazione del sistema nervoso centrale. Per questa ragione blocchi che prevedono l’utilizzo di dosi consistenti di anestetico dovrebbero essere effettuati sempre in presenza di ossigeno e delle apparecchiature adeguate per la rianimazione. Le stesse precauzioni vanno osservate in caso di blocco del ganglio stellato o del plesso cervicale nonostante vengano impiegate dosi inferiori.
Dato che il picco plasmatico del farmaco viene raggiunto in circa 30 minuti, il paziente per questo lasso di tempo va attentamente monitorizzato. Tra le complicanze più frequenti e fortunatamente meno gravi vanno ricordate il possibile danno nervoso, le neuropatie periferiche, dolore nel sito di iniezione o la formazione di un ematoma locale.
Profilassi Antibiotica
Le infezioni del sito chirurgico rappresentano un importante problema della qualità dell’assistenza sanitaria e possono determinare aumento significativo della mortalità, delle complicanze e della degenza ospedaliera.
Secondo le raccomandazioni contenute nella linea guida “Antibioticoprofilassi perioperatoria nell'adulto” (2008), elaborata nell’ambito del Sistema Nazionale Linee Guida la decisione finale riguardante i benefici e i rischi della profilassi antibiotica per ogni singolo paziente dipenderà dal rischio di infezione del sito, dalla potenziale gravità dell’eventuale infezione, dalla efficacia della profilassi per quel determinato intervento, dalle possibili conseguenze della profilassi per quel determinato paziente.
Gli antibiotici utilizzati per la profilassi delle infezioni devono essere somministrati entro i 30-60 minuti precedenti l’incisione, con il dosaggio appropriato e con lo spettro d’azione efficace nei confronti dei probabili agenti contaminati. Qualora si rendesse necessario l’impiego della Vancomicina, l'inizio della infusione deve essere effettuata prevedendo che il suo completamento debba avvenire entro 1 ora dall’incisione della cute.
Dovrebbe essere tenuta in considerazione la somministrazione di una dose aggiuntiva intraoperatoria di antibiotico se:
- L’intervento è ancora in corso dopo un tempo dall’inizio dell’intervento pari al doppio dell’emivita del farmaco impiegato
- Se la procedura chirurgica ha una durata superiore alle quattro ore
- Se è presente una notevole perdita di sangue
Qualora si rendesse necessario l’impiego della Vancomicina, non è necessario ripetere il dosaggio nelle operazioni di durata inferiore a 10 ore. L’estensione della profilassi alle prime 24 ore postoperatorie non è giustificata, se non in presenza di situazioni cliniche definite, quando l’indice di rischio di infezioni postoperatorie è alto. La decisione di prolungare la profilassi oltre la durata stabilita dalla linea guida adottata dovrebbe essere sempre motivata in cartella clinica.
- Articolo a cura di Daniele Emidio Fagone La Zita - Infermiere