Dialisi peritoneale, un meccanismo depurativo endogeno

Scritto il 19/01/2017
da Alba Tavolaro

La Dialisi Peritoneale è un trattamento sostitutivo dell’insufficienza renale cronica terminale alternativo all’emodialisi con caratteristiche estremamente diverse.

Le caratteristiche della dialisi peritoneale

La prima peculiarità di questo trattamento è che si tratta di una terapia domiciliare che il paziente può eseguire a casa propria dopo un periodo di preparazione ed educazione eseguito presso il centro dialisi di riferimento.

Il meccanismo depurativo è endogeno in quanto si sfrutta una membrana naturale presente in addome come agente filtrante che viene a contatto con un liquido dializzante introdotto nella cavità peritoneale attraverso un Catetere.

Il sistema dialitico peritoneale è dunque costituito da:

  • cavità addominale
  • membrana peritoneale
  • catetere peritoneale
  • liquido dializzante.

Il Peritoneo è una membrana continua di grandi dimensioni, che riveste l’intera parete della cavità peritoneale (peritoneo parietale) e i visceri addominali (peritoneo viscerale). Forma diverse “lamine” che si riflettono e collegano gli organi addominali tra loro.

Le principali sono: il mesentere, che consente il libero movimento delle anse intestinali impedendo strozzamenti; il grande omento e il piccolo omento. La membrana peritoneale è costituita dall’Endotelio Capillare, Mesotelio e Interstizio. In dialisi peritoneale la rimozione dei soluti viene “ostacolata” da queste strutture anatomiche.

I meccanismi depurativi dal punto di vista fisico-chimico sono gli stessi implicati nel trattamento emodialitico: diffusione, ultrafiltrazione e convezione. In realtà, in dialisi peritoneale, gran parte dei processi di scambio dei soluti tra i vasi sanguigni (principalmente capillari con flusso 60-70ml/min) della membrana e il liquido di dialisi, avviene per diffusione, ovvero per gradiente di concentrazione e solo in minima parte per convezione.

Per introdurre il liquido nella cavità peritoneale è necessario posizionare un catetere peritoneale, un tubo che deve rispondere a determinate caratteristiche quali biocompatibilità, compatibilità chimica con le soluzioni disinfettanti, calibro che consenta rapidità di scambio del liquido in ingresso e in uscita, efficace barriera agli agenti infettivi, facilità di impianto, costo contenuto.

Florence Nightingale

Il catetere peritoneale è costituito da tre segmenti:

  • esterno: porzione che fuoriesce dal sito di inserzione e giunge al raccordo di connessione con la sacca del liquido;
  • intramurale: porzione cuffiata che dal peritoneo giunge all’emergenza cutanea;
  • intraperitoneale: porzione posta nella cavità peritoneale costituita da numerosi fori.

Il più utilizzato è il catetere di Tenckhoff, realizzato in silicone, biocompatibile, flessibile, di lunghezza variabile dotato di due cuffie in Dacron, che hanno lo scopo di ancorare il catetere ai tessuti e costituire una barriera all’ingresso di germi.

Il posizionamento avviene con procedura chirurgica, che può essere classica o in laparoscopia. Prima di procedere all’intervento è di fondamentale importanza la fase preparatoria, che presuppone un’attenta valutazione:

  • esame dell’addome per escludere patologie pregresse che potrebbero ostacolare il posizionamento o compromettere la funzionalità della membrana (cicatrici, stati infiammatori, ernie ecc.);
  • il punto di uscita (exit site) non deve corrispondere alla cintura e deve essere ben visibile dal paziente.

Dopo l’inserimento viene effettuato un periodo detto Break-in, che va dall’inserimento del catetere peritoneale fino all’inizio del trattamento dialitico.

In questa fase l’infermiere valuta la pervietà e il buon funzionamento del catetere attraverso la somministrazione intraperitoneale di una soluzione dializzante sotto forma di lavaggi effettuati solitamente in 3°, 6° e 9° giornata dall’intervento chirurgico e una volta alla settimana fino all’inizio del trattamento dialitico.

Inoltre effettua la medicazione dell’Exit Site secondo i protocolli in uso. In questa fase l’infermiere pianifica e mette in atto l’educazione terapeutica alla persona, che riguarda principalmente le norme igienico-comportamentali e l’autocura dell’emergenza cutanea, che avverrà successivamente nella fase di training al trattamento dialitico.

I sistemi e le soluzioni dializzanti devono avere le seguenti caratteristiche:

  • sistema a doppia sacca: sacca contenente liquido fresco, sacca vuota per la raccolta del dialisato, raccordo di connessione a Y;
  • entrambe le sacche devono essere trasparenti per controllare le soluzioni sia in ingresso (liquido fresco) che in uscita (soluzione satura);
  • tutte le soluzioni dializzanti contengono: elettroliti, tamponi, agente osmotico (generalmente glucosio o polimeri del glucosio), in certi casi aminoacidi;
  • le soluzioni hanno la funzione di rimuovere i soluti tossici, equilibrio elettrolitico, rimozione liquidi in eccesso, equilibrio acido base, supporto nutrizionale.

Il trattamento dialitico si può effettuare con due modalità:

  • metodica manuale CAPD (Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis): si effettua con una frequenza che varia da 3 a 5 volte durante la giornata dopo uno stazionamento di almeno 4 ore. Nel periodo di stazionamento il paziente è libero di muoversi e di svolgere le normali attività di vita quotidiana.
  • metodica automatizzata APD (Automatic Peritoneal Dialysis): si effettua lo scambio di liquido con l’utilizzo di una apparecchiatura durante la notte mentre il paziente dorme.

L’apparecchiatura viene programmata a seconda della prescrizione dialitica ed effettua diversi cicli ciascuno dei quali è costituito da:

  • infusione di liquido fresco
  • stazionamento o sosta
  • drenaggio del liquido saturo.

Sia per la CAPD che per la APD esistono diverse metodiche a seconda della prescrizione che risponde alle caratteristiche della membrana peritoneale e quindi è sempre un trattamento personalizzato.

Vantaggi e svantaggi della dialisi peritoneale

La dialisi peritoneale ha numerosi vantaggi:

  • è un trattamento domiciliare autogestito;
  • permette una maggiore autonomia, minori vincoli di orario, incide in misura minore sulla attività lavorativa;
  • mantiene la funzione renale residua più a lungo rispetto all’emodialisi;
  • è una dialisi più fisiologica;
  • il paziente soffre meno la sete;
  • costi molto ridotti rispetto all’emodialisi.

Tuttavia presenta anche alcuni svantaggi:

  • il catetere peritoneale rappresenta per molti un ingombro, antiestetico,
  • complicanze infettive
  • la durata dell’efficacia del trattamento può variare ed è limitata nel tempo
  • può dare obesità.

L’educazione terapeutica

L’infermiere ha un ruolo di primaria importanza in quanto ha la responsabilità di pianificare e attuare il programma educativo della persona fino al raggiungimento della completa autonomia del paziente nella gestione del trattamento dialitico.

L’educazione terapeutica attuata dall’infermiere è finalizzata all’empowerment del paziente e permette di conoscere, comprendere, acquisire e mantenere le capacità e le abilità che gli consentono di convivere con la malattia e gestire la propria terapia autonomamente e in sicurezza.

All’inizio del percorso educativo, l’infermiere stipula il “contratto” terapeutico con il paziente poiché non si tratta di un percorso unidirezionale con un rapporto up-down, ma illustra gli obiettivi del percorso che devono essere semplici e chiari e facilmente realizzabili, fornisce informazioni, favorisce l’apprendimento sia nei contenuti teorici che pratici riguardanti il trattamento dialitico, accompagna il paziente nella fase di “riorganizzazione” della vita in presenza del trattamento sostitutivo (orari, spazi, coinvolgimento dei familiari, ecc.).

Il processo educativo è il punto focale per il successo del trattamento domiciliare e deve prevedere e garantire la continuità a lungo termine con periodici re-training per valutare e recuperare i contenuti e le abilità che si perdono nel tempo.